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Ci si sente in colpa a utilizzare qui appresso una di quelle espressioni che di norma si pronunciano per ben altri argomenti, ma la mezza soluzione provvisoria e tuttavia definitiva adottata ieri dal Senato sul caso Lotito conferma la fine di ogni parvenza di verità e di giustizia nelle aule parlamentari. E per quanto in nome della leggerezza si possano invocare le più alte e basse pezze d’appoggio del grande spettacolo, da Pirandello ai cinepanettoni, il voto di ieri dà la misura di una piccola apocalisse, nel senso che solleva il velo su una serie di magagne, tutte italiane, tutte nostre, che combinate in tragicomica sequenza trascendono il destino di Lotito e dei suoi quattro telefonini accesi in simultanea; e sotto il segno dell’insignificanza, autorizzano indignazione, sconforto, incredulità, sghignazzi, indifferenza, così è se vi pare, e li mortè, ma chi t’ha fatto fà.
A volerla prendere da lontano era già sospettosetto il motivo per cui il patron della Lazio e di altre squadre volesse a tutti i costi entrare nel Palazzo della Norma e della Rappresentanza. Ma in libere elezioni ciascuno può partecipare, figurarsi un signore che incarna come pochissimi altri l’abnorme peso del calcio, del tifo, insomma dei circenses nella vita collettiva.
Prima piaga, comunque.
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Sennonché, Lotito non è solo un padrone di squadre, è un personaggione, un vero eroe e quindi un anti-eroe di questo tempo, un prodotto della cultura di massa, un uomo anche irresistibilmente simpatico, un modello di spavalderia regionale e nazionale, tra Alitalia e multe non pagate, voli di aquile e ultrà poco raccomandabili, un vero e proprio vulcano in attività, che pure si addormenta con la bocca aperta davanti ai fotografi, ma che quando i selvaggi irrompono a Capitol Hill, dopo pochi minuti su Instagram Lotito, Lotirchio, Lotutto, è photoshoppato con cappottone, sciarpone e faccione giuggiolone accanto allo sciamano di Trump.
Per cui si presenta alle elezioni. In questi casi di solito o si è eletti o si è trombati. Ma lui no, “io sono come un flipper – ha scolpito una volta con rara efficacia – appena spunta il mio nome si accendono gli Speciali”. Così, lui rimane in sospensione fra i gas mefitici del Rosatellum bis, prigioniero dei rimbalzi proporzionalistici dei listini plurinominali tra Salerno e Benevento, Gigino la “Purpetta” di Forza Italia e la signora Mastella, indomito a combattere contro conteggi, quozienti, resti scomputati e altre caotiche diavolerie che solo una mezza dozzina di esperti, in tutta Italia, riescono forse a padroneggiare.
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Ed è la seconda piaga: che in Parlamento non sanno proprio più fare le leggi, in particolare quelle elettorali, quelle stesse su cui l’odierno ceto politico perde tesori di furbizie, premure, tempo; e che si rivoltano contro i loro pecionissimi creatori. Forse è un incantesimo. C’è anche una maga nella vita di Lotito, laureata ed esperta di macumbe calcistiche, per giunta presentatagli da un prete, a sua volta esorcista. In realtà, per riavere il suo scranno, si rivolge a illustri costituzionalisti, ex ministri della Giustizia, un presidente emerito della Consulta (che non lavorano gratis). Le loro ragioni convincono i senatores della Giunta.
Il guaio è che ieri la Mala Belua del Senato ha svelato la terza piaga, che è la politica, ridottasi a torvo miscuglio di trasformismo e degrado istituzionale. Per capirsi: nella vicenda del povero Lotito tutti hanno cambiato partito, che fa quasi rima. Gli interessi più inconfessati e la maggioranza più bislacca lo tengono fuori da un Palazzo che non conosce più né verità né giustizia. Può sembrare il soggetto di un film, e invece lo è.