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Dopo il corteo a Shengjin e un lungo presidio davanti al centro di Gjader si sposta a Tirana la protesta organizzata dal Network Against Migrant Detention, la rete di attivisti, nata per dire no al protocollo firmato da Giorgia Meloni ed Edi Rama, che in Italia e in Albania tiene insieme associazioni, sigle e comitati diventati punto di riferimento e supporto, anche legale e sociale, per chi attraversi le frontiere.
YaBasta di Bologna, Mediterranea Saving Humans, Melting pot Europe, Rete Nocpr Milano, diversi centri sociali, sono alcune delle realtà che oggi animano il comitato insieme a associazioni albanesi come Europe Other, Zane Kollectiv e Meshde.
“I centri sono vuoti ma questo modello non è stato dichiarato fallito, è stato solo congelato”, avvertono gli attivisti, consapevoli del tentativo del governo Meloni di scaricare sulle Corti d’appello la decisione relativa alla legittimità dei trattenimenti. “L’accordo non solo è operativo ma è anche un modello a cui diversi Paesi dell’Unione Europea guardano con fin troppo interesse”, spiegano. “Esternalizzazione delle frontiere, criminalizzazione di chi fugge: le politiche dell’Ue sono queste”, dicono i manifestanti, che ieri hanno invaso il piccolo centro di Shengjin, che l’inverno ha svuotato dei turisti che per lo più lo popolano, sostituiti dagli agenti che Roma tiene lì a monitorare centri vuoti.
I numeri di chi sfila nella prima delle due giornate di mobilitazione non sono enormi, in strada ci sono 250 – 300 attivisti, ma nel deserto di Shengjin sembra quasi una marea umana quella che ieri si è riversata su spiaggia e lungomare per dire “No ai lager”. Fra loro, con poca voglia di farsi notare per timore di oscurare i motivi veri della protesta, anche il fumettista Zerocalcare.
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Nel piccolo centro costiero albanese il governo Meloni ha costruito uno dei centri pensati per respingere rapidamente chi tenti di raggiungere l’Europa attraverso il mare, il “gemello”, più grande e ancora più blindato sta a Gjader, a una ventina di chilometri di distanza in mezzo alle montagne.
“In questi luoghi abbiamo potuto osservare il fallimento di un modello che confina le persone in movimento e che, con violazioni di diritti umani, perpetua una chiara linea politica europea, legata all’applicazione del Nuovo Patto Immigrazione e Asilo, specchio di un’Europa contesa anche da nazionalismi conservatori e illiberali”, denunciano.
La protesta, assolutamente pacifica, si sposta da uno all’altro. Dopo un breve corteo, con corpi e teloni, sulla spiaggia che guarda l’hotspot di Shengjin hanno costruito una gigantesca scritta “No Lager”, per poi proseguire verso il centro di trattenimento di Gjader. Polizia albanese schierata davanti al centro, un paio di camionette con tanto di agenti italiani in tenuta antisommossa dentro. A dispetto dello schieramento di forze dell’ordine sovradimensionato, anche lì la protesta si è svolta senza problemi.
“Questa è stata la nostra prova generale”, dice Detjon Begai, consigliere comunale di Bologna fra i più impegnati nella costruzione della rete. Albanese d’origine, da decenni in Italia, forse ancor di più percepisce sulla propria pelle le contraddizioni di un patto che si basa su muri e porte chiuse. “Anche a Shengjin molta gente, che magari inizialmente era stata illusa con la prospettiva di fiumi di soldi in arrivo, inizia a capire l’assurdità di questo accordo. Molti hanno un passato di migrazione, alcuni parenti in Italia, magari proprio fra quelli che ancora vengono respinti”
In giornata la protesta si sposterà a Tirana, con un corteo che passerà davanti alle ambasciate di Italia e Ue, ma in agenda c’è già un altro appuntamento. È la manifestazione del 14 dicembre a Roma contro il decreto sicurezza, “un altro degli strumenti con cui questo governo sta smantellando diritti e libertà”.