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Cerciello Rega, anomalie del delitto del carabiniere e punti oscuri della condanna dei due turisti Usa

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Qualche settimana fa sono state rese note le motivazioni della sentenza di appello per l’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega. In primo grado, gli imputati, due giovani turisti americani, erano stati condannati all’ergastolo; l’appello ha inflitto all’autore materiale del delitto, Finnegan Lee Elder, 24 anni di reclusione e al complice, Gabriel Natale Hjorth, 22. Il ridimensionamento delle pene sembra andare incontro a una ragionevole richiesta di giustizia per due ventenni trovatisi, come è palese, in una situazione più grande di loro, che li ha travolti per sempre.

Mario Cerciello Rega nella foto portata dai commilitoni ai funerali 

Le incongruenze in aula

Eppure, le incongruenze del processo e della sentenza sono assai significative (come evidenziato da cronisti attenti quali Valentina Stella e Andrea Ossino). Dunque, vale la pena — è proprio il caso di dire, trattandosi di un esercizio doloroso — riprendere la questione e approfondire alcuni elementi: innanzitutto per dispetto della memoria di un giovane uomo, ucciso a trentacinque anni; e per evitare che la sua fine sia segnata da zone d’ombra e da interpretazioni approssimative.

Il punto cruciale: i due carabinieri si qualificarono?

Vediamo. Un punto cruciale del dibattimento ha riguardato l’ipotesi che i due americani fossero a conoscenza o meno dell’identità delle persone che li avevano fermati. Ossia i due carabinieri si erano qualificati come tali in maniera comprensibile per due persone straniere con scarsa o, in un caso, nulla conoscenza della lingua italiana? Oppure è plausibile che Elder e Hjorth li avessero scambiati per due anonimi aggressori e se ne fossero difesi? L’esibizione dei tesserini da parte dei carabinieri rimane affidata solo alle dichiarazioni del secondo militare, Andrea Varriale, che non eliminano il dubbio di uno spazio temporale insufficiente per prelevare i documenti, mostrarli a distanza e poi riporli prima di procedere al contatto fisico. Di conseguenza, la ricostruzione degli attimi precedenti presenta una serie di punti oscuri.

Gabriel Natale-Hjorth e Finnegan Lee Elder in hotel subito dopo l’arresto 

“I militari agirono con superficialità”

I legali degli imputati e, in particolare, l’avvocato Renato Borzone hanno evidenziato 54 contraddizioni nella deposizione di Varriale, ma la Corte ne ha presi in esame appena 9. Tuttavia, le valutazioni di quest’ultima sono particolarmente severe: “È senz’altro chiaro come i due militari abbiano agito con superficialità, omettendo di adottare modalità e cautele previste dai protocolli operativi e, in particolare, lasciando in caserma l’arma di ordinanza, contravvenendo all’ordine di servizio: l’operazione è infatti sicuramente anomala”.

Ma i due americani non potevano non sapere

Ciò nonostante, scrivono i giudici, tali comportamenti vanno fatti risalire “a un’involontaria distorsione di prassi, posta in essere da un militare di grande professionalità e riconosciuta esperienza”. Ma i rilievi indicati dalla Corte, a proposito delle contraddizioni di Varriale, che pure sono appena una piccola parte di quelle segnalate dalla difesa, non vengono considerate sufficienti a sostenere la tesi che i due americani potessero ignorare l’identità di chi li aveva fermati.

Il sostanzialismo dei giudici

La sostanziale “anomalia” (secondo la Corte) dell’intera operazione non basterebbe a motivare una ricostruzione più aderente ai fatti e alla logica di quanto avvenne quella notte. Ma questo sembra essere il filo conduttore che ha orientato il giudizio del Tribunale, inducendolo a un sostanzialismo che sembra insofferente verso alcune garanzie che il diritto pone a tutela della correttezza assoluta delle procedure. Un sostanzialismo che rivela una ridotta sensibilità, in nome della colpevolizzazione del reo, verso il rigore dei vincoli e dei limiti, delle guarentigie e delle forme.

Il secondo punto chiave: i maltrattamenti in caserma

Ma c’è un altro punto cruciale. Uno degli americani, poco dopo il fermo, venne sottoposto a maltrattamenti e a bendaggio all’interno di una caserma. I fatti hanno portato all’apertura di due procedimenti penali ma, per la Corte, non sarebbero stati sufficienti a compromettere il successivo interrogatorio, che, dunque, va considerato valido a tutti gli effetti. Ma si può ritenere tale una deposizione — anche se avvenuta a distanza di qualche ora e in un altro luogo — così pesantemente preparata e condizionata da un trattamento illegale?

Quella zona di confine ai limiti della legalità

Da qui una riflessione: tutta la vicenda, a partire dal primo contatto dei due turisti con spacciatori e confidenti fino all’intervento dei carabinieri e, poi, al fermo e al trattenimento in caserma, risente di un ambiente e di un clima ben precisi. Sono l’ambiente e il clima in cui può accadere che si svolgano gran parte delle relazioni tra consumatori di sostanze psicoattive, spacciatori delle stesse, intermediari e, non raramente, membri delle forze di polizia. Relazioni che, secondo gli strateghi della repressione del mercato delle droghe, sono necessariamente situate in una zona “di confine” e al limite della legalità. Dove, cioè, persone ricattate o prezzolate scambiano ruoli, segnalazioni e piccoli e grandi vantaggi con spacciatori e militari. Tutto ciò in situazioni dove le regole sono flessibili e derogabili, dove si chiudono gli occhi davanti ad alcuni reati e li si sgranano davanti ad altri. Dove le diverse figure sociali assumono contorni variabili. Dove, insomma, il primo obiettivo da perseguire è il mantenimento dello status quo, che non prevede cambiamenti radicali e, tanto meno, mutamenti degli equilibri e dei rapporti di forza.

Il codice occulto della complicità

In altre parole, a parte le occasionali ed “eccezionali operazioni contro il narcotraffico”, questa sembra essere l’ordinaria politica della droga nei centri urbani: una sorta di ordine illegale garantito dalla disponibilità dei vari attori a rimanere nei propri ranghi e all’interno dei propri spazi, a rispettare le altrui competenze, a non violare un codice occulto ma ferreo che stabilisce le funzioni di ognuno. Ecco, potrò sbagliarmi, ma l’omicidio di Cerciello Rega sembra essere stato il tragico “incidente” che ha fatto saltare questo ordine micro-criminale.
 

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