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Ambasciatrice. Vertice dei servizi segreti. Candidata bipartisan al Quirinale, bloccata per l’inopportunità di un passaggio diretto dal Dis al Quirinale. Ora, a un passo dalla pensione, più volte indicata per un ruolo politico, magari di contatto con Bruxelles. Ma poi fermata anche perché in questi anni di governo Meloni non sono arrivati soltanto sì, come qualcuno avrebbe voluto.
La storia di Elisabetta Belloni, “l’ambasciatrice”, come hanno continuato a chiamarla in questi anni i suoi collaboratori al dipartimento dell’intelligence, non terminerà con le sue dimissioni “per motivi personali” dal Dis. Lei giura che non c’è nessuna alternativa già pronta ma è molto probabile che nei prossimi mesi la vedremo accanto a Ursula von der Leyen in qualche incarico di livello in Europa ad affrontare quella terza vita – dopo quella alla Farnesina e ai Servizi – cominciata quest’estate in Puglia, all’ombra degli ulivi secolari della Valle d’Itria. Giorgia Meloni l’aveva scelta, a sorpresa, come sherpa del G7 di Borgo Egnazia. A sorpresa perché il doppio incarico con il vertice dei servizi segreti era sembrato a molti una forzatura. Il lavoro di Belloni aveva però permesso di incassare due risultati importanti. Uno caro alla Casa bianca. E uno al governo. Durante una delle sessioni tecniche notturne della vigilia, era stata proprio Belloni a chiudere un’estenuante mediazione sugli aiuti all’Ucraina. E nello stesso tempo a far inserire il tema migranti nel documento finale. «Il G7 parla finalmente di immigrazione e accetta la nostra impostazione» aveva detto non a caso Meloni. Che però nei mesi successivi ha preferito non tracciare una strada comune con Belloni.
Eppure l’occasione c’era: la numero uno del Dis sembrava una candidata naturale al ruolo di commissaria europea, dove invece Meloni ha preferito Raffaele Fitto. E la premier non ha ritenuto nemmeno che il posto da ministro, con la delicatissima e pesante delega al Pnrr, potesse essere presa da Belloni. Che ha scontato anche qualche difficoltà con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. E la parte leghista del governo.
Belloni lascia la guida dei Servizi segreti: “Mi dimetto il 15 gennaio, è una mia decisione”
Non è un mistero, poi, che i rapporti tra la numero uno del Dis e l’Autorità delegata, il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano, fossero formalmente ottimi, ma nella pratica non idilliaci. Mantovano è abituato ad accentrare, anche perché così gli ha chiesto di fare la premier. E “l’ambasciatrice”, seppur grandissima mediatrice, non può essere soltanto una mera esecutrice. Di più: Belloni in questi anni è stata la principale protagonista dei rapporti con gli Stati Uniti. Ma il cambio di amministrazione, con l’arrivo di Trump e di un personaggio come Elon Musk, aveva spostato altrove l’asse degli interessi del nostro paese.
Negli ultimi mesi ci sono state tensioni anche perché Chigi ha avuto rapporti diretti con le due agenzie di intelligence – Aise e Aisi – invece di passare del Dis, che dovrebbe avere appunto un ruolo di collegamento. Si è detto per esempio che Belloni non avesse avuto voce nella scelta del suo vice, Giuseppe del Deo: a lungo in pole per diventare capo dell’Aisi, l’agenzia di sicurezza interna, era stato poi dirottato da Chigi al Dipartimento. Dove ora non troverà più l’ambasciatrice.