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E’ l’unica donna tra i nove arrestati, ha solo 20 anni ma un ruolo tutt’altro che marginale: nella faida dei trapper milanesi che ha visto scontrarsi – tra coltelli e sequestri – le opposte fazioni di Mohamed Amine Amagour, vero nome di Baby Touché, e Mohamed Lamine Saida, ovvero Simba La Rue, c’è una giovane donna che fa parte della gang di quest’ultimo ed è fidanzata con uno dei suoi soldati più fidati. Si chiama Sara Ben Salha, è nata a Monza nel 2002 ma vive in un piccolo comune in provincia di Lecco. Padre nordafricano, mamma italiana, un fratello più grande. “Ha dimostrato di sapere depistare le indagini” sin dal loro “inizio in quanto agli agenti”, che erano intervenuti in via Settala, aveva dichiarato “astutamente e falsamente di essere stata una vittima dell’aggressione poiché il gruppo puntava anche ad impadronirsi della sua borsetta e ha indicato un colore delle autovetture a bordo delle quali gli aggressori erano giunti diverso da quello reale al fine di renderne più difficile l’identificazione”, scrive il gip Guido Salvini nell’ordinanza che ripercorre mesi di dissing su TikTok tra le due bande sfociati in agguati e pestaggi.
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Il ruolo della ragazza, dicevamo: che fa da esca per una aggressione, ma per prima suggerisce ai suoi compagni le modalità con cui devono preparare la trappola. A cose fatte, sarà sempre lei a cercare di confondere le acque con i carabinieri che interrogano i testimoni e, anche, a far credere di essere stata a sua volta in pericolo.
E’ la notte del 1° marzo scorso, a Milano in via Panfilo Castaldi, zona Porta Venezia, alle 3 il radiomobile arriva all’angolo con via Settala, chiamato per una rissa. Sul posto trovano già un’automedica che sta assistendo un ragazzo – Akrem Ben Haj Aouina, che fa parte della banda di Baby Touchè – ferito alla gamba con un coltello. Il ragazzo racconta che con un amico e con due ragazze erano da poco usciti da “L’Amour Café” quando un gruppo di ragazzi, tutti con il volto coperto, lo aveva aggredito a calci e pugni, fino alla coltellata. Anche il suo amico era stato aggredito dal gruppo che poi, salito su due auto, era scappato. Alle due vittime erano stati rubati portafogli e cellulare, dopo la medicazione i due avevano presentato denuncia. E lì era venuta fuori la possibile pista: il ferito, infatti, era della banda “in aperto contrasto con un’altra banda di cui fanno parte un gruppo di soggetti gravitanti intorno a un altro rapper”. Simba La Rue, appunto.
“Tra le due bande – scrive ancora il gip Salvini – è da tempo in corso un conflitto per la supremazia sul territorio, nell’ambito del quale continuano a verificarsi da tempo episodi simili a quelli per cui si procede e della cui esistenza, anche in assenza di denunce alle autorità, i soggetti coinvolti sono soliti fare pubblicità sui rispettivi profili Instagram, ed è qui che compare una lunga storia che si chiude con l’aggressione di via Panfilo Castaldi.
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E si torna a Sara Ben Salha e al regolamento di conti tra le bande. Per un precedente episodio il gruppo di Simba La Rue decide che gli altri devono pagare. I carabinieri partono dalle telecamere della zona, individuano le due auto che fuggono e la targa di una di queste, un’auto in sharing noleggiata da un ragazzo che, si scopre, è vicino a entrambi i trapper. Le analisi delle celle telefoniche dei soggetti citati nelle stories di Instagram portano anche a Simba La Rue: era lì, quella sera. Il colpo di fortuna per gli investigatori arriva dalla questura di Lecco: che, per un’altra indagine per droga, intercettano le conversazioni in auto tra Simba e i suoi amici. Tra loro c’è anche Sara. E’ il 28 febbraio, sono le cinque e mezza del pomeriggio, di lì a poche ore ci sarà l’aggressione. Dalle conversazioni si capisce che Sara è l’esca per la trappola, incaricata di un appuntamento galante con la vittima, Akrem Ben Haj Aouina. Sara spiega agli altri di aver condiviso con uno di loro la propria posizione su Whatsapp per le otto ore successive, “in modo tale che potesse monitorarla per tutta la durata dell’appuntamento con Ben Haj Aouina”. Scrivono gli investigatori: “Sara manifestava inoltre l’intenzione di voler rimanere in chiamata con gli altri ragazzi nel corso dell’appuntamento, celando dietro i capelli una cuffietta Bluetooth, in modo da poter aggiornare il gruppo di assalitori in diretta senza dover perdere tempo a mandare messaggi che, inoltre, avrebbero potuto insospettire” la vittima. La serata inizia, la ragazza entra nel locale con la vittima, il suo amico e un’altra ragazza. Riceve un messaggio dai suoi amici, che le chiedono di avvisare quando usciranno dal locale.
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L’aggressione avviene come programmato, in sei arrivano, pestano il rivale e scappano. Il giorno dopo Sara è con il fidanzato e un altro degli aggressori, sempre in auto. E parla. Le chiedono se ha cancellato le chat del giorno prima, lei lo ha fatto e chiede a sua volta se nei video dell’aggressione postati su Instagram si riconosca il suo viso. “Racconta agli altri ragazzi di essersi fatta male, durante l’aggressione inciampando in un vaso fatto cadere da Simba La Rue nella concitazione del momento. In seguito ironizza ridendo sul fatto che Akrem Ben Haj Aouina non avesse minimamente sospettato del suo coinvolgimento e che, addirittura, lui e il suo amico si fossero sincerati sulle sue condizioni di salute, scusandosi per quanto accaduto”. Aggiunge che la vittima si era appoggiata a lei, sporcandola di sangue: “Il suo sangue, f..a, volevo spalmarmelo in faccia il suo sangue di m…”. E qui spiega, nel dettaglio, come ha provato a sviare le indagini: “La macchina, nessuno l’ha vista a parte la gente che passava, non loro che erano lì, la ragazza e l’altro. Quando ci hanno chiesto che macchina avevano loro hanno detto non lo sappiamo, arriva il passante e dice io l’ho vista, dice la marca, il nome della concessionaria. Io gli faccio “ma va, guarda che ti stai sbagliando”. Poi hanno chiesto a noi “ma quindi le macchine erano una bianca e una nera” e io gli faccio “no, no, tutte e due blu, non ho visto macchine bianche, erano blu e abbastanza piccole”.
Scrive il gip Salvini, per dare sostanza all’arresto della ragazza: “Dalle conversazioni emerge la complicità con il ruolo di esca di una delle ragazze identificate dalle forze dell’ordine sul luogo dei fatti, Sara Ben Salha, che ha partecipato attivamente all’aggressione tendendo, in accordo con gli altri della banda, una trappola” e “concordava con Momo e Gapea la piaificazione dell’aggressione, suggerendo addirittura di poter indossare degli auricolari sotto i capelli in modo da comunicare in tempo reale tutti gli spostamenti ai complici e specificando di averlo già fatto in passato”. Infine la stessa “ha tentato di sviare le indagini riferendo alle forze dell’ordine intervenute circostanze false in ordine alle autovetture utilizzate dai rei al movente dell’aggressione, fingendo che gli stessi fossero a bordo di due auto di colore blu e che gli aggressori avessero tentato di sottrarle la borsa”.