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Roberto Saviano non ha diffamato Gennaro Sangiuliano. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma che ha rigettato la richiesta dell’allora direttore del Tg2 (oggi ministro della Cultura) che aveva chiesto il risarcimento danni per diffamazione a mezzo social network per due post dello scrittore del 31 ottobre 2018. “La domanda proposta dall’attore – recita la sentenza del tribunale – deve essere rigettata”. Nei post sotto accusa Saviano aveva appellato Sangiuliano come “galoppino di Nicola Cosentino“, adombrando l’accusa che l’allora direttore del Tg2 avesse raggiunto tale carica grazie ai favori dell’ex sottosegretario di Berlusconi, poi condannato come referente della Camorra. Ma secondo i giudici della Capitale l’accusa di Saviano non “può considerasi un fatto falso”, dunque per il ministro della Cultura non ci sarà nessun risarcimento danni perchè la parole dello scrittore rientrano nel diritto di critica.
Saviano: “Non dicevo il falso su Sangiuliano”
“Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano mi ha portato a processo ritenendo che io avessi leso la sua onorabilità, ma così non è stato e il Tribunale civile di Roma mi ha dato ragione. Anzi: mi ha dato interamente ragione!”, scrive sui social Saviano commenando la sentenza. E aggiunge: “Non dicevo il falso quando riconoscevo anche Nicola Cosentino tra i padrini politici di Gennaro Sangiuliano e tra gli artefici delle sue fortune. Giorgia Meloni – non è un dettaglio, anche se oggi passa sotto silenzio – è stata ministra della Gioventù nel 2008, nello stesso governo e nella stessa coalizione di Nicola Cosentino, condannato in via definitiva a 10 anni di carcere per essere stato il referente politico del clan dei casalesi”.
Poi Saviano domanda: “Giorgia Meloni non ha nulla da dire al riguardo? Ci sarà qualche giornalista in grado di inchiodarla alle sue responsabilità, politiche naturalmente, ma enormi? Temo che nessuno – tranne il sottoscritto, che del resto è già stato querelato – chiederà conto a Meloni della sua vicinanza politica a chi ha portato la camorra al governo, una vicinanza per la quale provo disgusto”. E conclude: “Ma il cerchio si chiude:sono sotto scorta perché minacciato dal clan dei casalesi e sotto processo perché la premier, che con il referente del clan dei casalesi è stata al governo, ha deciso di querelarmi e costituirsi parte civile. Inutile domandarsi perché questo governo non abbia ancora attivato la Commissione parlamentare antimafia… Sarebbe una domanda retorica. Provo pietà per il nostro Paese e un profondo disgusto perché tutto questo sembra ormai essere la nostra normalità”.
La replica di Sangiuliano
A commentare la sentenza del Tribunale civile di Roma è anche l’avvocato di Sangiuliano, Silverio Sica, che all’Ansa dice: “La sentenza, lo dico ironicamente, è istruttiva perché dice che si può parlare di ‘galoppino’ senza recare offesa, in quanto il termine sarebbe una critica politica aspra, pungente ma consentita e tutte le connotazioni negative scompaiono”.
Per l’avvocato del ministro della Cultura: “Sembra che a questo proposito Saviano goda di un privilegio rispetto ad altri italiani. Abbiamo chiesto specificamente al giudice di verificare un pregresso in merito ai rapporti tra il ministro e Nicola Cosentino, che non solo non erano cordiali ma di ostilità, e questo non è stato fatto. Viene dato come fatto notorio che Sangiuliano fosse in continuità con Cosentino, fino alla definizione di ‘galoppino’ e non è stata ammesso come prova il fatto di aver chiesto di dimostrare con una missiva che al contrario il rapporto era di malanimo. Tutto questo è infondato ed offensivo – conclude Sica – e per questo andremo in appello, sperando di trovare un giudice meno disponibile a spingere il diritto di critica fino alla definizione di galoppino”.