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ROMA – C’è chi parla di un incontro a quattrocchi tenuto rigorosamente riservato per evitare speculazioni. Chi invece minimizza, derubricando il tête-à-tête a semplice telefonata di auguri. Fatto sta che tra Natale e Capodanno Mario Draghi ed Enrico Letta avrebbero avuto un lungo colloquio che, avvenuto in presenza oppure via cavo, si sarebbe comunque concentrato su due aspetti: la partita del Quirinale e la prosecuzione della legislatura, sia in caso di trasloco del premier al Colle, sia di sua permanenza a palazzo Chigi.
Sebbene al Nazareno continuino a sostenere la tesi per cui «Draghi è soltanto una delle opzioni», il segretario dem appare sempre più determinato a pilotare la successione di Sergio Mattarella sull’unico nome in grado di riscuotere un ampio consenso, evitando al centrosinistra di restare tagliato fuori dai giochi. Il solo sul quale, almeno in teoria, nessuno avrebbe la forza di tirarsi indietro. A dispetto delle resistenze interne al Pd, oltre che del M5S e di buona parte della Lega, i cui deputati e senatori vivono come un incubo l’ascesa di Draghi al Quirinale: possibile anticamera del voto anticipato. Ipotesi che non per niente Letta, deciso a non scoprire troppo presto le sue carte, ha escluso con nettezza nell’intervista a Repubblica: «Il 13 gennaio dirò alla direzione del Pd e ai gruppi parlamentari che la via maestra è la continuità di governo e la stabilità», ha scandito il leader dem per tranquillizzare le truppe. «Il 2022 non può essere un anno elettorale, non possiamo permetterci almeno cinque mesi di interruzione dell’attività di governo. Quindi c’è bisogno di una larghissima maggioranza, un capo dello Stato non divisivo e non eletto sul filo dei voti».
Quirinale, da Mattarella addio senza esitazioni. E indica al suo posto un uomo super partes
di Concetto Vecchio 01 Gennaio 2022
Dichiarazione mai tanto esplicita, unita al disegno — illustrato con altrettanta chiarezza — di mettere al riparo l’ex banchiere centrale da agguati e franchi tiratori: «Quello che Draghi sta portando all’Italia è enorme», perciò «va protetto e tutelato per il bene del Paese», ha avvertito il segretario. E poiché, come ha pure ribadito Mattarella nel suo discorso di congedo, il prossimo settennato non sarà privo di insidie è necessario insediare nell’ex dimora papale la personalità più autorevole, imparziale e riconosciuta nel mondo di cui il Belpaese dispone. Per Letta l’unica capace di scongiurare la fine prematura della legislatura: se difatti il nuovo capo dello Stato venisse incoronato da «una maggioranza più stretta» dell’attuale «il governo cadrebbe» e rimettere insieme i cocci non sarebbe più possibile. Da qui la proposta: «Servirebbe una sorta di doppia elezione, un accordo contestuale anche sul nome del sostituto» a palazzo Chigi. Individuare cioè chi, fra le ipotesi in campo, daDaniele FrancoaMarta Cartabia, possa guidare l’esecutivo per qualche mese, fino alle Politiche.
Una strategia che tuttavia non sembra convincere né gli alleati grillini, né Salvini, per non parlare di Berlusconi, ancora persuaso di poterlo conquistare lui il Colle. Ma alla quale potrebbe essere interessata — anche se solo fino a un certo punto — Giorgia Meloni. Diventata, sebbene per motivi opposti a quelli di Letta, la più grande sponsor di Draghi. «Si dice che se andasse al Quirinale si tornerebbe a votare», ha ribadito la leader di Fdi nella diretta social dell’ultimo dell’anno: «Secondo me si deve tornare al voto comunque. Il mandato di Draghi è legato a quello di Mattarella». Dunque, vada come vada, l’epilogo per lei rimane lo stesso: le urne dopo l’elezione del capo dello Stato. Tanto più se toccasse all’attuale premier.
Aspettativa che tuttavia rischia di restare delusa: eccetto il suo partito, non ce n’è uno che non tifi per arrivare a scadenza naturale. Inclusi i centristi, che hanno già cominciato a manovrare (vedi l’avvicinamento di Renzi a Toti) per non finire esclusi dalla partita, stringendo proprio su Draghi. «Ha tutte le qualità per essere il presidente della Repubblica», ha scandito l’altro ieri il governatore della Liguria. Che ha pure avvisato Berlusconi: «Se non verifica bene i numeri, rischia di fare la fine di Prodi». Indizi che portano tutti nella medesima direzione: solo “SuperMario” può garantire la prosecuzione della legislatura, dando all’area moderata il tempo di organizzarsi in vista delle prossime elezioni.