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Sfilano in procura i primi poliziotti. La catena di comando del commissariato Primavalle, i superiori dei quattro investigatori finiti nel mirino dei pm nell’indagine per tentato omicidio in concorso e falso, viene sondata dai magistrati per capire cosa sia accaduto ad Hasib Omerovic il 25 luglio scorso.
Il giorno in cui il 36enne precipita dalla finestra della sua stanza, nella casa popolare all’estrema periferia nord di Roma nel corso di un’identificazione da parte di quattro agenti, tre uomini e una donna. Un volo di oltre nove metri poi lo schianto sul retro del palazzo. Hasib è vivo per miracolo.
Cosa sanno i superiori su quello che è successo? Gli inquirenti giocano d’anticipo e puntano i fari sulla relazione di servizio redatta dagli agenti al termine dell’intervento in via Gerolamo Aleandro 24 e ora acquisita dalla procura. I pm stanno vagliando la genuinità del rapporto: è stato stilato con precisione senza omettere o cambiare alcun particolare, oppure è stato scritto in modo da far emergere una storia diversa?
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Quello che riportano gli agenti riguarda un possibile tentativo di suicidio o una fuga: “Hasib è scappato dalla finestra lanciandosi dal primo piano”, si legge in una prima relazione. Sullo sfondo aleggia il caso di Stefano Cucchi e i verbali manomessi dagli ufficiali dell’Arma per allontanare ogni responsabilità dai carabineri che l’avevano arrestato e poi picchiato fino a causarne la morte.
Non è detto che ci si trovi di fronte ad una storia simile. La procura, però, vuole avere un quadro chiaro. Per questo il pm Stefano Luciani nominerà nei prossimi giorni un perito a cui verrà affidato l’incarico più delicato, ricostruire la dinamica dell’incidente.
L’esperto dovrà fornire le risposte a tre domande. Hasib è stato spinto dai poliziotti come dicono i parenti? È scappato e si è lanciato dalla finestra durante il controllo? Oppure c’è stata una colluttazione che è degenerata in tragedia?
I traumi, la posizione del corpo dopo la caduta, sul cemento del ballatoio, diranno molto sulle modalità con le quali Hasib è volato giù dalla finestra. Da quella relazione si avrà la prova regina.
Perché se prima era sordo, adesso Hasib non riesce più a emettere neppure un suono. Prova a comunicare con gli occhi immobile nel letto del policlinico Gemelli.
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Ne risulta un’intervista impossibile. “Hasib, mi riconosci? Sono Admir, tuo fratello”. Il 36enne, sordo, muove lievemente la testa sul cuscino. Apre e chiude le palpebre circondato dai familiari, radunati nella stanza 808 del reparto di medicina interna. Mentre la madre Fatima, 53 anni, gli sfiora delicatamente la fronte con una carezza, si avvicina Kevin, il nipote di sete anni appena.
Hasib si commuove, è una reazione che ha spesso da quando si è risvegliato dal coma e non sempre per un motivo preciso. La madre gli aggiusta il colletto del pigiama bianco, con dei piccoli pois blu. L’orario delle visite coincide con l’ora di colazione, ma il 36enne non può mangiare, è alimentato con le flebo. Ha ancora i segni della tracheotomia.
Accenna un lamento. “Tra un paio di mesi dovrà passare in cura a un centro di riabilitazione – aggiunge il padre Mehmedalija – in una casa con le finestre alte non ci vuole andare più. Ha il terrore, la stessa paura che abbiamo noi”.