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Già condannato in primo grado a 27 anni di reclusione per aver ucciso la moglie, il 19 giugno del 2021 ad Arese, in provincia di Milano, e per aver tentato di ammazzare uno dei tre figli, di 18 anni, il 43enne Jaime Moises Rodriguez Diaz, ex manager di origine messicana per una multinazionale e attualmente in carcere, è indagato ora anche per abusi sessuali che avrebbe commesso, tra il 2017 e il 2021, in Messico sulla figlia, da quando la bimba aveva 10 anni. Figlia che a 15 anni, lo scorso 8 dicembre, si è suicidata.
I nuovi terribili elementi di questa vicenda emergono a seguito di un avviso di chiusura delle indagini, coordinate dall’aggiunto Letizia Mannella e dal pm Giovanni Tarzia, notificato in carcere al 43enne in vista di una nuova richiesta di processo per violenza sessuale aggravata dall’aver “commesso i fatti – si legge nell’imputazione – nei confronti della figlia che non aveva compiuto gli anni quattordici”.
Già nelle indagini sull’omicidio e sul tentato omicidio, condotte dai carabinieri di Rho, tutti e tre i figli della coppia avevano descritto il padre, che è difeso dall’avvocato Iacopo Viola, come “un uomo violento e pericoloso”. Le violenze e i maltrattamenti, avevano raccontato i figli, erano iniziate all’epoca in cui la famiglia viveva in Messico. La famiglia si era trasferita in Italia circa 7 mesi prima dell’aggressione dell’uomo nei confronti della moglie, Silvia Susana Villegas Guzman, che aveva 48 anni, e del figlio.
Lo scorso 15 novembre, Rodriguez Diaz era stato condannato a 27 anni a fronte di una richiesta della Procura dell’ergastolo e di sei mesi di isolamento diurno. La Corte d’Assise di Milano, infatti, gli aveva concesso le attenuanti generiche per il suo “stato emotivo”: aveva “una condizione emotiva del tutto alterata al momento della commissione dei fatti”, hanno scritto i giudici nelle motivazioni, era “un uomo che si sentiva fallito come genitore” e “marito”. L’uomo aveva soffocato la moglie e tentato di uccidere con una cintura il figlio 18enne. Rodriguez, ha scritto la Corte, “era ‘un uomo rotto, spaccato’, come acutamente compreso” da uno dei tre figli “poco prima di essere aggredito, un uomo che si sentiva fallito come genitore per non essere riuscito a costruire ‘una buona famiglia’, come padre per gli errori commessi e come marito”.
Sulla base di una sentenza della Cassazione del 1982, la Corte ha chiarito che “gli stati emotivi o passionali, pur non escludendo né diminuendo l’imputabilità” possono “essere considerati dal giudice ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, influendo essi sulla misura della responsabilità penale”. Ora per l’uomo si profila un nuovo processo su quei cinque anni di presunti abusi sessuali sulla figlia.