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Conte barricadero, Salvini europeista. Le metamorfosi posticce dei leader

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Per ingannare l’attesa di sapere se sarà vittoria, trionfo o tripudio mi porterei avanti proponendo qui ad eventuali intellettuali illuminati una domanda che, mi sembra, non invecchia. Come possa un popolo di complottisti che la sanno lunghissima abboccare eternamente all’amo del vestito buono. Come possano insomma diffidenza e credulità convivere nello stesso corpo, elettorale e fisico. Chiedo, non so la risposta. È sempre uno spettacolo sensazionale, però, osservare come le stesse persone che hanno le prove che il vaccino sia un inganno delle multinazionali, il Covid un’influenza, lo sbarco sulla luna una messa in scena, la scienza un covo di affaristi, Zelensky un servo di Biden, i morti per strada manichini. Ecco, come possa questa maggioranza di italiani in procinto di dare finalmente il governo “a chi lo merita” non farsi nemmeno una domanda, neanche una, sulle metamorfosi posticce dei leader che si accingono a votare. Non hanno la cronologia di Google? Non gli funziona più l’accesso a YouTube? Perché va bene, si può non avere memoria recente, ricordare è un’attività che pretende allenamento: ma c’è l’Internet, è lì per questo no? Per rispondere alla domanda: fammi vedere questo tizio chi è. Quindi mi chiedo. Come mai, in questo caso, lo storico dei documenti ripescati dal (sovente recentissimo) passato non serve a dire: ahah, non ce la contate giusta, vi abbiamo smascherati?

Arrivo anche a Enrico Letta, ma parto da Conte, Salvini e Meloni. Giuseppe Conte è un caso di scuola. Assolutamente sconosciuto, appare alle cronache come avvocato pugliese di buone maniere indicato dai Cinquestelle come “persona terza”, tecnico di fiducia. Lì sì furono fatte ricerche su Google, al principio non si trovava un granché: supercattolico devoto di Padre Pio per questioni anche biografiche e territoriali, collega prediletto del potentissimo avvocato Guido Alpa, zona massonerie degli affari.

Nel 2018, non un millennio fa, Luigi Di Maio capo politico del Movimento lo presenta come candidato premier nel governo di alleanza con la Lega, detto gialloverde. Conte, con pochette turrita, assurge al ruolo. Lo svolge con lessico barocco e sorriso adeguato, incassa l’endorsement di Donald Trump che lo chiama Giuseppi, è amico dell’America. Riscuote consensi popolari in tempi di clausura pandemica, il resto lo sapete. La domanda è come possa nel giro di quarantotto mesi la stessa persona proporsi come descamisado, Dolores Ibárruri dei braccianti senza terra, Che Guevara degli ultimi a sinistra della sinistra. Pensare che Mélenchon lo adotti. Fare il barricadero. Cioè, per meglio dire: lui può, con disinvoltura. Come possa crederci l’elettorato militante della diffidenza è la domanda: quelli che e allora il Papa, e allora l’America, e allora il pacifismo, voi casta, voi poteri forti.

E Matteo Salvini: diventato europeista e uomo di governo dalla sera alla mattina? Non voleva forse solo partecipare alla distribuzione dei dividendi? Non era un inganno da venditore di pozioni magiche, il passaggio dall’alleanza firmata e tuttora in vigore con il partito di Putin all’ossequio all’Unione? Dove sono gli speleologi del web? Nemmeno un video salvato?

Di Giorgia Meloni la metamorfosi è rutilante. Non lo si può chiamare maquillage, è misogino e figurarsi se io, ma è certo un trucco — una maschera — quello che nasconde il volto della cristiana-donna-madre dei comizi di Vox: Draghi e Mattarella, consapevoli dell’esito scontato, la ricevono e l’assistono. L’istituzione lo pretende, certo: “Qualunque sia il governo”, ha detto Draghi a Rimini. Il voto democratico decide. Ma, di nuovo, la domanda: basta una giacca, per l’inganno? I militanti della rabbia giusta sono tutti all’amo?

Anche Enrico Letta, infine, non è credibile nel suo dire “la sinistra siamo noi” accorpando quel che resta di Sel o come si chiama adesso, Nicola Fratoianni. Non basta, i sondaggi non più divulgabili lo hanno mostrato fino a ieri, lui stesso fa del resto disperato appello al voto utile, il voto argine.

Da che mondo è mondo stare all’opposizione è una rendita e stare al governo un debito. È questa la ragione per cui Conte e Salvini, con l’improvvido sostegno dell’anziano Berlusconi lusingabile, hanno fatto cadere Draghi. Guadagnare consensi. Conte, in tournée al Sud come paladino del reddito di cittadinanza che Meloni abrogherà, ha avuto ragione: almeno un paio di punti li riprende, il loquace sociologo De Masi lo aveva ben spiegato: era quello lo scopo della crisi. Salvini come al solito ha fatto male i suoi conti. Non converrà a nessuno, alla fine, governare nell’inverno del supremo scontento. Quanto all’esercito degli incerti: perché non preferire, alla fine, al voto utile un voto dilettevole. Perché rinunciare, proprio ora che tutto è già scritto, alle passioni e alle ragioni. Due settimane. Un dubbio minimo.

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