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ROMA – Giuseppe Conte si aspetta una telefonata di Mario Draghi. Tra domani e martedì. Per capire che piega prenderà la crisi, per ora solo minacciata dai 5 Stelle. Nel frattempo il cellulare dell’ex premier continua a trillare. Non è Palazzo Chigi, ma il Pd: messaggini continui di Dario Franceschini e di Francesco Boccia, in missione speciale per conto di Enrico Letta. Boccia e Conte si sono anche incontrati l’altro ieri all’evento Digithon di Bisceglie, non solo per parlare di metaverso.
Eccoli, i “pontieri” dem. Al lavoro per ricucire lo strappo e convincere l’alleato a restare in maggioranza. Anche perché altrimenti pure l’asse giallorosso finirebbe per aria. Il vice-segretario Pd, Peppe Provenzano, lavora ai fianchi il ministro Stefano Patuanelli, capo-delegazione del M5S nell’esecutivo. Dal lato sinistro della coalizione, Roberto Speranza si fa vivo direttamente con il leader. Dentro Articolo 1 raccontano che si sarebbe mosso pure Pierluigi Bersani in queste giornate tribolate, anche se fino a giovedì, a Montecitorio, l’ex segretario Pd assicurava che no, “ultimamente Conte non l’ho sentito”. Ma il feeling tra i due è ottimo.
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di
Lorenzo De Cicco
Una rete c’è, per provare a tenere il Movimento dentro il governo di unità nazionale. E per evitare che Conte si consegni all’ala più ortodossa del partito, largamente maggioritaria dopo la scissione. Un corpaccione di deputati, ma soprattutto senatori, che preme sul leader, sognando il ritorno all’antico. Un Movimento di lotta e basta. “Ma facciamola finita con i politicismi — ripete Letta ai suoi — sui programmi l’alleanza si può costruire”. Boccia batte sullo stesso tasto: “Penso che il M5S non romperà. Sta ponendo temi che devono essere oggetto di un confronto”. Anche per Provenzano “la consonanza con le proposte portate da Conte a Chigi è evidente”.
Un altro segnale è arrivato da Articolo 1: dal 14 al 18 luglio a Bologna si terrà la festa nazionale del partito di Speranza. Invitati proprio Patuanelli, la ministra Fabiana Dadone, la vice-ministra Alessandra Todde, che è anche uno dei 5 vice-presidenti di Conte. Tutti ultra-contiani (a parte Dadone), ma anche tendenza-governo.
L’ex premier, in privato, rassicura che non vorrebbe uscire. Ma aspetta risposte da Draghi. Segnali sui 9 punti annotati nella lettera consegnata mercoledì al capo del governo. Vuole, deve esibire un qualche risultato, soprattutto per sedare le smanie dei parlamentari più irrequieti. I tempi però sono strettissimi. Il primo scoglio è la fiducia sul dl Aiuti, con annesso termovalorizzatore, attesa per giovedì al Senato.
Che segnale si aspettano i 5 Stelle, concretamente, dato che al gong di Palazzo Madama mancano 5 giorni? Lo spiega Mario Turco, vice-presidente del Movimento: “Chiediamo discontinuità e riscontri concreti alle emergenze del Paese. Soluzioni risolutive al tema del caro energia, salari, precariato, Superbonus, evasione fiscale, speculazione finanziaria. Anche con un Cdm straordinario”. Tra i 5 Stelle c’è chi spera ancora che al Senato possa saltare la fiducia, per modificare il decreto Aiuti sul termovalorizzatore e sul Superbonus, rispedendolo poi in tutta fretta alla Camera. Difficile che accada.
A Palazzo Chigi osservano con attenzione. Trapela che i temi sollevati da Conte sono presi molto seriamente. “E sono in larga parte già nell’agenda”, aggiunge il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, preoccupato “dalle frange del M5S che chiedono l’uscita”. Il dossier salari sarà affrontato martedì con i sindacati. Mentre sul Superbonus i tecnici sono al lavoro anche da prima del vertice Conte-Draghi. Il premier è aperto a soluzioni, ma senza legare il percorso ai tempi strettissimi del dl Aiuti. Anche per questo non tutti al Nazareno sono sereni. E non solo lì. “Ma non credo che succederà”, che ci sarà una crisi, si augura la ministra forzista Mariastella Gelmini. “Prevarrà la consapevolezza che Draghi gode di grande stima. Non conviene a nessuno staccare la spina”.