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di Laura Della Pasqua
1. A che punto sono i vaccini contro Omicron?
2. Cosa sono le dita da Covid?
3. Quali sono i danni neurologici del Long Covid?
1. A che punto sono i vaccini contro Omicron?
Potrebbero arrivare a settembre i vaccini aggiornati contro Omicron con l’approvazione da parte dell’Ema, l’agenzia europea per i medicinali. L’ente regolatore europeo ha sottolineato che la priorità è stata data ai vaccini che incorporano la variante Ba1. Anche l’azienda biofarmaceutica BioNTech ha detto che sono attesi “nelle prossime settimane” i risultati degli studi clinici condotti per valutare l’efficacia e la sicurezza dei vaccini progettati contro le mutazioni del Covid.
Proseguono anche le sperimentazioni per i vaccini sotto forma di spray nasale. Dal momento che verrebbero somministrati a livello delle mucose, che rappresentano la porta di ingresso del virus, sarebbero in grado di proteggere dalla malattia grave e dalla trasmissione. Con gli attuali vaccini a mRNA gli anticorpi che vengono maggiormente prodotti sono gli IgG, responsabili del riconoscimento e dell’eliminazione del virus a livello sistemico. Ma per raggiungere l’immunità sterilizzante questi non bastano. Occorre stimolare in maniera specifica la produzione di anticorpi a livello della mucosa nasale. Un pool di scienziati dell’Università di Oxford ha testato su animali il vaccino AstraZeneca, nella formula con iniezione e spray nasale. I risultati, pubblicati su Science Traslational Medicine, hanno mostrato come gli animali trattati con lo spray avevano una produzione di anticorpi maggiore. Non solo, una volta infettati, la carica virale è risultata minore rispetto ai vaccinati con l’iniezione. Ma lo sviluppo di vaccini nasali è tutt’altro che semplice. Il prodotto deve superare lo strato di muco e attivare la risposta immunitaria. La sperimentazione dello spray sull’uomo è in fase avanzata.
2. Cosa sono le dita da Covid?
Oltre ai classici campanelli d’allarme, come tosse, perdita di olfatto e mal di testa, ci sono altri sintomi scatenati dall’infezione di cui si parla poco. Tutto ha origine dal processo infiammatorio che gli anticorpi scatenano per proteggersi dal Covid. L’eccessiva produzione di citochine, le proteine che controllano l’attività delle cellule immunitarie, può ostacolare la circolazione dei piccoli vasi sanguigni e avere conseguenze su unghie, pelle e orecchie. Un sintomo particolare che è in corso l’infezione, è quella che i dermatologi chiamano “dita da Covid”. Le dita si gonfiano e si arrossano come nel caso dei geloni. È un effetto che tende a scomparire nell’arco di un paio di settimane. Interessano sempre le dita, la formazione di macchie sulle unghie, che compaiono nei giorni successivi all’infezione, come conseguenza dello stress subito dall’organismo. Sono le cosiddette “linee di Beau” cioè linee orizzontali sull’unghia. Ma possono comparire anche macchioline o strisce di color bianco dette “linee di Mees” o bande a forma di mezzaluna color rosa scuro. Questi fenomeni non sono diretta conseguenza solo del Covid ma compaiono dopo altre infezioni. Infine ci può essere una perdita di capelli causato sempre dal forte stress affrontato dall’organismo nella lotta contro il virus.
3. Quali sono i danni neurologici del Long Covid?
La ricerca scientifica ha oramai accertato senza alcun dubbio la possibilità che il virus colpisca e danneggi permanentemente l’attività e le funzioni neurologiche in pazienti affetti dal cosiddetto Long Covid. Sono disturbi che, una volta riconosciuti, possono essere curati. BrainControl, azienda attiva nel campo della ricerca e produzione di strumenti per sostenere e facilitare le funzioni cognitive cerebrali, ha organizzato un webinar cui hanno partecipato ricercatori che hanno lavorato su questo specifico tema.
Vincenzo Silani, ordinario di Neurologia all’Università di Milano e direttore del Dipartimento di Neurologia Irccs, Istituto Auxologico Milano, ha riportato i risultati di diversi studi avanzati. È emerso che circa 1/3 dei pazienti colpiti da Covid sviluppa disturbi a livello neuropsichiatrico. Quello più frequente dopo la malattia, è l’alterazione dell’olfatto (anosmia) e del gusto (ageusia), con durata superiore a un mese nel 50% dei casi e di oltre sei mesi nel 20%; segue l’encefalopatia acuta, un’infiammazione rara ma grave del tessuto cerebrale, che determina uno stato confusionale, perdita di attenzione e memoria, agitazione, fino a un’alterazione dello stato di coscienza e al coma, riportata nel 25% dei casi; anche la cefalea è risultata frequente e non sempre di breve durata, diventando cronica in circa il 50% dei casi per due settimane e in quasi il 20% oltre i tre mesi. Fanno parte del long Covid anche i disturbi cognitivi della durata media di circa 3 mesi, con risoluzione spontanea entro i 6 mesi.
Il Long Covid ha colpito maggiormente persone con età inferiore ai 50 anni, in buona salute e forma fisica che non hanno ricevuto trattamenti ospedalieri per il virus. Le infiammazioni neurologiche ed eventuali danni neuronali nelle forme acute dell’infezione possono accelerare o fare da trigger per future malattie neurodegenerative. Un’indagine condotta da un gruppo di ricerca italiano guidato da Alberto Priori, direttore della Clinica Neurologica all’Università di Milano, ha rilevato che un terzo dei pazienti in convalescenza dal Covid ha un sintomo. Quelli maggiormente presenti sono affaticamento (il 44%), dolori muscolari (14%), “nebbia mentale” (più della metà dei pazienti), disturbi del sonno (27%), depressione, ansia, perdita dell’olfatto, del gusto, dell’udito, vertigini.
Le donne sono più predisposte ad avere la malattia severa e ad avere il long Covid. Da uno studio riportato da Barbara Poletti, responsabile del Centro di Neuropsicologia dell’Istituto Auxologico, Irccs, emerge che il 63% dei pazienti ha manifestato un disturbo cognitivo 5 mesi dopo le dimissioni ospedaliere che persisteva anche dopo 12 mesi nel 50% degli ammalati.
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