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Decreto carceri, via libera definitivo dalla Camera. È scontro sull’immunità. Nordio: cambio la custodia cautelare

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ROMA — Tra il cortocircuito del governo e lo sgarbo istituzionale. L’Aula della Camera sta votando il decreto Carceri, ma il ministro della Giustizia Carlo Nordio non è tra i banchi dell’esecutivo. È a palazzo Chigi dalla premier Giorgia Meloni a discutere di istituti penitenziari e di come cambiare le norme sulla custodia cautelare. Con loro ci sono i ministri Antonio Tajani e Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e tutti i rappresentati della maggioranza che si occupano di giustizia.

Qualcosa non va se, nel momento in cui un provvedimento sta per diventare legge, viene convocato un super vertice per discutere proprio delle norme che stanno per ricevere il via libera definitivo. La versione fornita dai partecipanti alla riunione parla della necessità di un punto sui prossimi «passi da fare» per affrontare l’emergenza carceri che «resta una priorità». Risuona un po’ come un’ammissione di colpa, dal momento che il testo in questione agisce molto poco, per non dire affatto, sull’alleggerimento degli istituti penitenziari sovraffollati, che in poco più di sette mesi hanno visto 66 suicidi. L’ultimo ieri a Prato. Per questo la segretaria del Pd Elly Schlein parla di «furia punitiva della maggioranza che ha affossato anche la nostra proposta sulle madri detenute», su cui l’Aula è andata allo scontro quando la leghista Simonetta Matone ha chiesto se sia «meglio stare dentro la metropolitana a rubare, al settimo mese di gravidanza, o in un centro».

Sta di fatto che il Decreto carceri è diventato il contenitore di altre esigenze politiche. Come, per usare le parole delle opposizioni, lo «scudo penale» per i colletti bianchi, un cambio del regime della custodia cautelare, inserito sottoforma di ordine del giorno presentato dal deputato di Azione Enrico Costa e che il governo ha fatto proprio. Nella versione riformulata e più soft rispetto al testo originario, impegna l’esecutivo a valutare «nel solco delle iniziative già adottate con il ddl Nordio un intervento normativo finalizzato ad una rimodulazione delle norme sulla custodia cautelare con particolare riferimento alle esigenze cautelari finalizzato ad un puntuale bilanciamento tra presunzione di non colpevolezza e garanzie di sicurezza». E il nome di Giovanni Toti, l’ex governatore ligure raggiunto nel maggio scorso da una misura cautelare mentre era a Sanremo, risuona più volte nell’Aula della Camera.

Nel vuoto dei banchi del governo, le opposizioni stigmatizzano così la scena. La capogruppo del Pd Chiara Braga prende la parola e accusa: «Mentre votavamo il ministro Nordio prospettava altre soluzioni alla Meloni. Evidentemente era solo propaganda».

Nel frattempo il Guardasigilli fa sapere di «aver prospettato a Meloni soluzioni a breve e medio termine per il sovraffollamento carcerario». Soluzioni evidentemente non presenti nel decreto approvato. E «su questo tema chiederò un incontro al presidente della Repubblica – dice il titolare di via Arenula – che ha sempre manifestato grande attenzione al riguardo». Inoltre Nordio vuol proporre al Consiglio superiore di potenziare la copertura di organico per la magistratura di sorveglianza e di prevedere che i detenuti tossicodipendenti scontino la pena in comunità. E a questo passaggio lega la volontà, sulla scia dell’ordine del governo presentato da Costa e sostenuto dalla maggioranza, di modificare la legge sulla custodia cautelare, «necessaria – dice – per evitare la carcerazione ingiustificata, ma soprattutto per affermare la detenzione differenziata dei tossicodipendenti presso le comunità di recupero». Quindi chiede l’aiuto dell’opposizione.

Ma è solo un’ulteriore provocazione. Le opposizioni denunciano un Parlamento «umiliato» e chiamano in causa il presidente della Camera Lorenzo Fontana per definire «un’azione riparatoria» da parte del Guardasigilli. Pd, M5S, Iv, Avs e +Europa chiedono che Nordio riferisca subito in Aula i contenuti del vertice di Palazzo Chigi. I parlamentari della maggioranza ribattono e la terza carica dello Stato è costretta a intervenire per ribadire «la centralità del Parlamento, le cui prerogative devono essere garantite attraverso il confronto delle idee e l’assunzione delle responsabilità da parte di tutti i soggetti interessati». Le opposizioni apprezzano, ma intanto un altro blitz del governo è stato portato a termine prima della pausa estiva.

 

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