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Dentisti con la valigia, la laurea all’estero: “In Italia l’ostacolo è il numero chiuso”

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La più grande facoltà di odontoiatria degli aspiranti dentisti italiani si trova all’estero. O, meglio, è l’insieme delle università di altri Paesi come Spagna, Albania e Romania. In Italia nessun ateneo da solo raggiunge lo stesso numero di laureati, anche 500 all’anno. E così, tra qualche anno chi si siederà sul lettino avrà almeno un 25% di probabilità di trovarsi davanti un professionista che ha studiato fuori.

Ormai da tempo il numero chiuso dell’università italiana per questa specialità è una porta con tanti spifferi. Basta vedere i dati di chi si è iscritto all’Ordine e può svolgere così la professione. L’anno scorso su 1.700 nuovi abilitati alla professione, 450 avevano lauree estere. Si potrebbe provare ad aumentare il numero di posti a disposizione nei corsi italiani ma secondo i dentisti si tratta di una soluzione sbagliata. Perché comunque le uscite proseguirebbero. Ormai la strada è segnata.

Per odontoiatria bisogna fare lo stesso test di ingresso previsto per medicina. Dopo la laurea si può già lavorare. Esistono le specializzazioni universitarie, ma sono per chi vuole fare la carriera accademica e lavorare in certe strutture pubbliche. I posti a disposizione per gli aspiranti dentisti sono circa 1.300. E chi non riesce a entrare perché bocciato al test, o vuole fare comunque un’esperienza all’estero, si iscrive altrove. Però ci vogliono soldi, in certi casi anche tanti. E infatti ad andare, ad esempio, in Spagna, dove l’Universidad europea di Madrid e Valencia costa anche 15-20 mila euro all’anno, sono soprattutto i figli dei dentisti. Giovani cioè che, ad aspettarli dopo la laurea, hanno già uno studio, magari ben avviato, o un genitore professore. Possono investire perché hanno la sicurezza di un lavoro e quindi sanno che i soldi rientreranno.

Ben più difficile accettare il trasferimento per chi non ha un futuro già organizzato. E così di recente sono nate università per stranieri meno costose, in Albania e Romania, dove per un anno di iscrizione possono bastare 3-5 mila euro. Chi le frequenta deve comunque pagarsi alloggio e viaggio. “Per me c’è stato lo scoglio della lingua ma alla fine ho imparato il romeno – spiega Cosimo Ciulli, tra i primi a fare l’università a Arad, non lontano da Timisoara – del resto non era possibile andare in Spagna. Troppo cara”.

Il sistema ormai è distorto. A tal punto che gli stessi dentisti sembrano proporre una resa. “In Italia ci sono troppe sedi universitarie che offrono odontoiatria, ben 37 – dice Raffaele Iandolo, presidente della Cao, la Commissione albo odontoiatri della federazione degli Ordini dei medici – Andrebbero diminuiti i corsi di laurea, dopo che il ministero ha verificato se adempiono ai loro compiti formativi, e dovrebbero calare anche i posti a disposizione degli studenti, così la formazione sarebbe migliore. La programmazione deve tener conto di tutti coloro che vanno all’estero e continueranno a farlo”.

Visto che sono tanti a iscriversi all’Ordine dopo aver studiato in Spagna, o altrove, l’idea un po’ estrema è, quindi, invece di semplificare l’ingresso ai corsi di laurea in odontoiatria, di ridurre l’offerta italiana. Non sarà una soluzione corporativa che sbarra la strada a chi non può pagare la formazione all’estero? “No – risponde Iandolo – In Italia abbiamo 50mila dentisti attivi, più del nostro fabbisogno, che sarebbe di un professionista ogni 1.800-2.000 cittadini”. E i disoccupati sono tanti. “Nessuno apre più uno studio, solo il 3% degli under 35 ha una sua attività. Abbiamo tanti dentisti che non lavorano o sono sottopagati”.

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