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Compromette i rapporti sociali, riduce l’autonomia personale e può addirittura alterare l’equilibrio psicologico, generando un profondo senso di malessere e sfiducia verso presente e futuro. Il dolore cronico affligge tra il 10 e il 30 per cento della popolazione adulta, rappresentando uno dei maggiori problemi di salute pubblica.
Un recente studio pubblicato sull’European Journal of Pain indica che l’attività fisica dovrebbe rappresentare il primo trattamento per affrontare questo dolore persistente: «Ovviamente, prima è necessario inquadrare bene il problema con una buona anamnesi e un accurato esame clinico e strumentale per determinare l’origine del problema», commenta il dottor Fabio Massimo Demasi, fisiatra e responsabile del Reparto di Recupero e Rieducazione Funzionale all’Ospedale Koelliker di Torino.
«Per esempio, spesso non viene tenuta in considerazione la possibile origine viscerale del dolore cronico: la diverticolosi, una precedente isterectomia o le malattie gastrointestinali e del tratto uro-genitale possono determinare dolori a carico della colonna vertebrale o degli arti inferiori, che talvolta restano misconosciuti».
Dolore cronico: quale attività fisica
A differenza della fisioterapia, che propone un percorso riabilitativo su misura e finalizzato a obiettivi specifici, l’attività fisica va intesa come qualsiasi movimento che consumi energia, per cui include attività quotidiane come camminare all’aria aperta, salire le scale, fare giardinaggio oppure esercizi più strutturati come jogging, nuoto, ciclismo e pratica sportiva.
«Quando il dolore è di origine articolare, a giovare maggiormente del movimento sono soprattutto colonna vertebrale, spalle e arti inferiori: questi distretti non dovrebbero mai restare fermi, sempre entro certi limiti», tiene a precisare il dottor Demasi.
«Per esempio, in caso di artrosi o di spondiloartrosi, chi presenta una grave limitazione funzionale deve compiere esercizi mirati, controllati e suggeriti da un professionista, evitando il fai-da-te. Ma questo vale un po’ per tutte le situazioni di dolore cronico, perché il movimento va sempre adattato all’età, agli interessi e alle capacità di chi parte da condizioni fisiche svantaggiate».
Cos’è il dolore cronico
Lo studio apparso sull’European Journal of Pain evidenzia che mantenersi attivi può alleviare il dolore cronico, sia a breve sia a lungo termine, in tutte e tre le sue forme:
dolore nocicettivo. È quello causato da un danno reale o potenziale a un tessuto non neurologico (come pelle, muscoli, ossa oppure organi viscerali): può iniziare come dolore acuto, per esempio in seguito a un trauma o un intervento chirurgico, e poi trasformarsi in cronico a causa della compromissione di una struttura nervosa. È determinato dall’attivazione dei nocicettori, particolari terminazioni nervose sensibili a stimoli meccanici, termici e chimici; dolore neuropatico. È dovuto a lesioni o disfunzioni del sistema nervoso periferico o centrale (come nella sindrome del tunnel carpale o nella nevralgia del trigemino): è uno stato di sofferenza particolarmente complesso, difficile da gestire e trattare, perché è resistente ai farmaci e causa lo sviluppo di tolleranza, ovvero la necessità di aumentare la dose di principio attivo per ottenere lo stesso effetto; dolore nociplastico. È legato a un’alterazione della nocicezione, cioè del processo sensoriale che rileva e convoglia i segnali e le sensazioni di dolore (come nella fibromialgia). In questo caso, la persona inizia a sentire più dolore del dovuto e sperimenta un’alterata percezione tattile, per esempio avvertendo sofferenza anche quando riceve un gesto delicato come una carezza.
Come agisce l’attività fisica sul dolore cronico
«L’attività fisica regolare agisce in vari modi sulla riduzione del dolore cronico, abbracciando fattori biologici, psicologici e sociali che comprendono il rilascio di endorfine, la diminuzione dello stress, il miglioramento della funzionalità del sistema nervoso, il potenziamento dell’efficienza cardiovascolare e muscoloscheletrica», evidenzia il dottor Demasi.
Il problema è che le persone con dolore cronico possono perdere il controllo della loro vita e manifestare una vera e propria paura del movimento, definita kinesiophobia, nel timore di esacerbare la sofferenza. Questo timore finisce per modificare ogni comportamento: i pazienti escono poco, hanno difficoltà a svolgere le mansioni di prima, coltivano meno passatempi. «Con l’aiuto del medico è importante correggere i pensieri sbagliati, perché l’immobilità può peggiorare la situazione o ritardare la guarigione», conclude l’esperto.
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