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Cinquant’anni fa la metà delle donne con un tumore al seno operato moriva. Oggi la sopravvivenza a 10 anni sfiora l’89%. Il merito è di tantissimi medici e ricercatori. Fra loro c’è Serena Di Cosimo, 46 anni, oncologa specializzata nel cancro della mammella, tornata in Italia nel 2012 dopo 9 anni di carriera in Spagna.
Oggi Di Cosimo è dirigente medico presso la Piattaforma di biologia integrata all’Istituto nazionale dei tumori di Milano. «Nel mio campo c’è un tipo di ricerca per la quale è difficile trovare il supporto delle aziende private: nessuno ha interesse a finanziarla». Lì arrivano istituzioni come Airc, Associazione italiana per la ricerca sul cancro, che l’8 maggio, festa della mamma, torna in piazza per il 38esimo anno con la sua “Azalea della ricerca”.
Serena Di Cosimo
In cambio di 15 euro destinati alla scienza, 20 mila volontari in tutta Italia offriranno una pianta fiorita e un opuscolo con i consigli (e alcune ricette di cucina) per tenere lontano il cancro. In tutti questi anni l’azalea dell’Airc ha assicurato all’oncologia italiana 280 milioni di euro.
Con quali risultati?
«Non c’è anno che non sia salutato da una buona notizia. Se gli anni ’70 e ’90 sono stati l’epoca delle grandi rivoluzioni nella cura del tumore al seno operato, quelli in cui si è passati dalla candela alla lampadina, oggi la stanza è ben illuminata. Non assistiamo più a svolte epocali, ma a piccoli progressi continui. È come costruire un puzzle insieme. Ognuno aggiunge il suo pezzo».
Uno dei passi avanti in Italia è l’uso del test genomici, rimborsati dal Servizio sanitario per capire quale tipo di tumore abbia colpito un paziente. Quanto è importante?
«È una novità introdotta nel 2020, in pieno Covid. Ci sono casi in cui l’analisi dei geni espressi dal tumore può davvero cambiare la terapia».
In che modo?
«A seconda dei geni coinvolti, diventa opportuno seguire una strada piuttosto che un’altra, nel trattamento. Il test genomico deve essere valutato da un medico insieme all’età della paziente — mi occupo di seno, quindi ho a che fare soprattutto con donne — allo stato menopausale e alle altre caratteristiche del cancro. A quel punto, anche in base al test genomico, sarà possibile scegliere la terapia e delineare una prognosi».
Cosa cercate con i test genomici?
«Un gruppo di geni che caratterizza un tumore: un po’ come la sua firma. Per il tumore del seno Her2-negativo e con i recettori ormonali positivi ad esempio ne abbiamo 5 ben validati. Ce ne sono diversi per altri tipi di tumori, ma l’oncologia mammaria in questo campo è una disciplina pioniera. Per tanti anni la diagnosi di cancro al seno è stata un incubo. Magari il tumore era localizzato e riusciva a essere operato, ma il tasso di recidive era altissimo».
E oggi?
«I test genomici ci aiutano a capire come si comporterà il tumore, una volta che è stato operato: quanto è alto il rischio di recidiva e quale trattamento è più indicato. Spesso il test viene visto come una bacchetta magica che permette di evitare la chemio dopo l’intervento. Purtroppo non sempre è così, non è come mettere la monetina e ricevere la bibita dal distributore. La valutazione del medico resta indispensabile, dopo un test. Ma anche qui i progressi non mancheranno. I test genomici ci danno indicazioni importanti e sono destinati ad arricchirsi in futuro».
Perché senza Airc sarebbe difficile ampliare questa ricerca?
«Capire quale donna può evitare un trattamento dopo un’operazione non è necessariamente fra gli interessi di un’azienda. È difficile che un privato finanzi questi studi: serve una ricerca accademica non sponsorizzata».
Un’altra novità del vostro lavoro di oncologi è la biopsia liquida, ovvero la diagnosi di tumore attraverso un esame del sangue. Che legame c’è con i test genomici?
«Le biopsie liquide, nel campo del cancro al seno, non sono ancora affidabili come i test genomici effettuati direttamente sul tessuto del tumore, ma offrono diverse promesse. Un cancro può rilasciare nel sangue varie molecole, come il Dna o piccoli frammenti di Rna: i microRna. Crediamo che si possa tracciare un ponte fra quel che succede nel tumore e quel che troviamo nel sangue. Probabilmente è possibile anche accorgersi di una recidiva in anticipo, grazie a una biopsia liquida. Ma non si tratta ancora di routine. C’è ancora bisogno di molta ricerca».