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ROMA – Di Quirinale non parla in pubblico. Non si sfila dalla corsa, né si candida. Non intende sbilanciarsi: questa è la linea scelta da Mario Draghi. Scherza sul Campari e l’Aperol, pur di non esporsi. E però, tutto questo non significa che a Palazzo Chigi non si analizzi il passaggio del Colle. Il contrario: viene soppesato con grande attenzione. Con una convinzione: se l’attuale maggioranza si dovesse dividere sul voto del presidente della Repubblica, difficilmente riuscirebbe ad andare avanti assieme al governo. Sembra insomma molto improbabile che il giorno dopo aver portato al Quirinale un nome frutto di uno schema diverso rispetto a quello dell’unità nazionale, il Consiglio dei ministri possa tornare a riunirsi come nulla fosse. Non è questione di scelte radicali di Draghi, questo va chiarito. Non si tratta di agitare dimissioni o passi indietro del premier, come teme – o mostra di temere – Dario Franceschini. No, il problema fondamentale avvertito ai vertici dell’esecutivo è che verrebbe meno la maggioranza su un tema cruciale come il Quirinale. Concetto semplice, nella sua brutalità. Con conseguenze altrettanto brutali, dal punto di vista politico.
È il momento di fissare una premessa che per Draghi valeva ieri, vale oggi e varrà anche domani: il presidente del Consiglio considera imprescindibile la formula di salvezza nazionale. È quella per cui è stato scelto da Sergio Mattarella, attorno a cui ha coagulato un consenso quasi unanime del Parlamento e su cui ha investito gli sforzi degli ultimi mesi, bilanciando di continuo interessi contrapposti per portare avanti l’agenda di governo. Anche dopo le elezioni amministrative, che hanno rallentato la maggioranza – (in attesa del voto di gennaio per il Colle) e spinto ai margini Matteo Salvini, il presidente del Consiglio ha voluto tutelare questo schema: senza, non c’è l’attuale esecutivo.
Quirinale, il timore nei partiti: governo al capolinea se Draghi non va al Colle
di
Stefano Cappellini
11 Novembre 2021
La partita del Quirinale rischia di far precipitare ulteriormente le cose. Di certificare la fine di una stagione. Soltanto tenendo insieme l’attuale formula, insomma, l’esecutivo potrebbe resistere all’urto di questo passaggio così delicato.
Oltre, il presidente del Consiglio non si spinge, né si espone. Semmai, ne parlano gli altri: Giancarlo Giorgetti e Renato Brunetta, ad esempio, l’hanno “candidato” al Quirinale (probabilmente complicando l’eventuale ascesa). E si sono esposti anche tutti quelli che hanno invocato invece il secondo mandato di Sergio Mattarella.
Ecco, sembrano sempre questi – o almeno, così si ragiona ai vertici dell’esecutivo – gli unici due nomi in grado di non disintegrare l’attuale maggioranza: Draghi medesimo – con un accordo politico contestuale per un altro presidente del Consiglio di unità nazionale – oppure Sergio Mattarella. Chi potrebbe uscire altrimenti dalla selezione tra i due poli, che come in una battaglia navale affonda candidati a ritmi forsennati? Chi è capace di resistere ai “no” dei sovranisti” e ai “contro-veti” dei progressisti, bruciando senza sosta tutti i papabili? “Il centrosinistra cerca un capo dello Stato gradito ai francesi”, diceva ieri ad esempio Giorgia Meloni. Pare si riferisca a Paolo Gentiloni o Enrico Letta. Di certo, anche lei non esclude invece una promozione di Draghi al Colle.
Quirinale, Azzariti: “No al bis di Mattarella, sarebbe una sconfitta della politica”
di
Liana Milella
13 Novembre 2021
Sempre a Mattarella e all’ex banchiere centrale si torna, insomma. Il bis dell’attuale Capo dello Stato è evocato da molti. Anche il premier considera l’eventuale permanenza dell’attuale presidente come una sorta di precondizione per proseguire eventualmente la sua opera a Palazzo Chigi. È vero, Mattarella continua a tenere a debita distanza la prospettiva di un altro settennato, con interventi pubblici che evocano l’imminente nuova vita da presidente emerito. Ma il centrosinistra e importanti settori del centrodestra non sembrano aver rinunciato al suo bis. Anche oltreconfine è considerato garante di continuità. Né si arrendono molti sindaci e governatori, che spingono per blindare Draghi a Palazzo Chigi almeno fino al 2023.
Proprio a questo tandem, infine, sembra pensare anche Walter Veltroni quando reclama senso di responsabilità per “assicurare al Paese un presidente della Repubblica che sia garante di tutti e la prosecuzione della legislatura per concludere le riforme e assicurare le risorse di cui l’Italia ha bisogno. L’importante è che ci sia equilibrio tra un capo dello Stato autorevole e un presidente del Consiglio altrettanto autorevole”.