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CATANIA – “Non ricordo cosa sia passato nella mia mente quando ho colpito mia figlia”, ha continuato a ripetere dopo aver fatto ritrovare il cadavere della piccola Elena, in un campo abbandonato, poco distante dalla sua casa di Mascalucia. “Anzi, posso dire che non mi è passato nessun pensiero, era come se in quel momento fossi stata una persona diversa”. Però, le è rimasta una sensazione: “Quando ho colpito Elena – mette a verbale – avevo una forza che non avevo mai percepito prima”. E, poi, torna la nebbia: “Non ricordo la reazione della bambina mentre la colpivo, forse era ferma”.
Al termine di una notte di domande incalzanti in caserma, Martina Patti ha ceduto. Ma non subito. All’alba, ancora sosteneva che la figlia era stata rapita da tre uomini incappucciati. Poi, i carabinieri l’hanno accompagnata a casa, per un sopralluogo della Scientifica. Ed è scoppiata in lacrime. “Vi porto da Elena”, ha sussurrato a un maresciallo. Il corpicino era lì, dentro cinque sacchi neri coperti da terra e cenere lavica. Mentre i carabinieri trovavano lì accanto una zappa e una pala, il medico legale contava sette coltellate: al collo, all’orecchio, alla spalla.
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“Non ricordo dove ho preso il coltello”
Un’ora dopo, nella caserma di piazza Verga, la madre ha confessato. “Era la prima volta che portavo la bambina in quel campo – ha detto – qualche tempo fa c’ero stata da sola per piantare asparagi”. E ancora: “Ho l’immagine del coltello, ma non ricordo assolutamente dove l’ho preso”.
È un racconto drammatico quello che una madre di 24 anni consegna ai magistrati della procura e ai carabinieri, nella stanza c’è anche un legale nominato dalla famiglia della giovane, è l’avvocato Gabriele Celesti. Martina Patti continua a dire e a non dire. “Non ricordo di avere fatto del male alla bambina – ripete – ricordo solo di avere pianto tanto… Forse ho capito che la bambina era morta e non sapevo cosa fare”.
Racconta invece con precisione il ritorno a casa dopo l’asilo, lunedì: “Elena ha voluto mangiare un budino, aveva già pranzato a scuola, poi ha guardato i cartoni animati dal mio cellulare. Io intanto stiravo, in serata dovevamo andare da un amico di famiglia per festeggiare l’onomastico insieme ai miei genitori e la bambina era contenta”. Non sembra neanche la confessione di una madre che sta per uccidere la figlia. “Io ed Elena siamo uscite per andare a casa di mia madre, ma poi ho rimosso tutto, ricordo solo che siamo scese per le scale e null’altro”.
Tante ancora le cose da chiarire
Le scale che portano al baratro. “Erano le 14,30 quando siamo uscite. Ricordo solo di essere andata in quel campo”. Gli investigatori in realtà non sono certi che la bambina sia stata uccisa lì, anzi sospettano che l’omicidio sia avvenuto nell’abitazione, che adesso è sotto sequestro in attesa di un nuovo sopralluogo della Sezione investigazioni scientifiche. Sono ancora tante le cose da ricostruire in questa storia. Ma, intanto, il procuratore Carmelo Zuccaro e la vicaria Marisa Scavo hanno firmato un provvedimento di fermo per la donna: “Le viene contestato il reato di omicidio premeditato pluriaggravato della figlia”, spiega il colonnello Rino Coppola, il comandante provinciale dei carabinieri di Catania. “La donna non riferisce invece il movente del suo gesto, ma da una serie di elementi riteniamo che possa ricollegarsi a una forma di gelosia nei confronti dell’attuale compagna dell’ex convivente; non tollerava che la bambina si affezionasse a lei”.
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La madre ha continuato a ripetere di essere “confusa”: “Non ricordo dove ho messo il coltello”, ha detto. Ricorda invece di “essersi cambiata a casa i vestiti indossati quando ero con la bambina; non erano sporchi di sangue, ero macchiata solo nelle braccia e ricordo che piangevo forte”.
Adesso, è in carcere, in isolamento. Sorvegliata 24 ore su 24. I pm hanno provato a indagare ancora una volta sul movente che ha mosso la madre. Ma lei ha consegnato solo altri dubbi: “Non ricordo di avere sotterrato la bambina, ma sicuramente sono stata io”. Unica certezza: “La bambina soffriva di attacchi di tosse, ma la sua tosse non mi infastidiva. Anzi cercavo di aiutarla”.