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Femminicidio, Roccella su Salvatore Montefusco: “Nella sentenza di Modena elementi preoccupanti”

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“Elementi preoccupanti”. Parole della ministra delle Famiglia Eugenia Roccella dopo la sentenza della Corte D’Assise di Modena su un duplice femminicidio avvenuto nel 2022: i giudici hanno stabilito che Salvatore Montefusco merita 30 anni e non l’ergastolo (come aveva chiesto la Procura) per aver ucciso la moglie e la figlia di lei. Anche in ragione – sostengono i giudici – della “comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato”.

“Leggeremo ovviamente il testo integrale della sentenza, ma se ciò che emerge dagli stralci pubblicati oggi venisse confermato, il pronunciamento della Corte d’assise di Modena conterrebbe elementi assai discutibili e certamente preoccupanti – ha dichiarato la ministra – che, ove consolidati, rischierebbero non solo di produrre un arretramento nell’annosa lotta per fermare i femminicidi e la violenza maschile contro le donne, ma anche di aprire un vulnus nelle fondamenta che reggono il nostro ordinamento”.

Sentenza pericolosa

“Il problema – prosegue la ministra – non è la comminazione della pena, non è la sua entità, non sono le valutazioni processuali proprie dell’esercizio della giurisdizione. Ciò che colpisce è il ragionamento a monte che sembrerebbe aver orientato la Corte, per la quale, a quanto si legge, ‘la situazione che si era creata nell’ambiente familiare avrebbe ‘indotto’ l’imputato ‘a compiere il tragico gesto‘, con la conseguenza di una ‘comprensibilità’ umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il reato. Non credo sfugga a nessuno la pericolosità di ragionamenti di questo tipo, fondati su un nesso causale in grado di ‘indurre’ per motivi ‘umanamente comprensibili’ una duplice uccisione. Se si affermasse un principio di questo tipo – conclude Roccella – lo sforzo di promozione di quel cambiamento culturale che tutti vogliamo non compirebbe certo un passo avanti ma ne farebbe molti indietro”.

(fotogramma)

Il M5S: “Nefaste dinamiche non giustificano”

“Trent’anni o l’ergastolo, considerata l’età del condannato, cambia poco nella pratica. Quel che sconcerta sono le motivazioni addotte e trapelate a mezzo stampa sulla sentenza di Modena. Non c’è nulla di comprensibile in un femminicidio che, in questo caso, è addirittura duplice. Gabriela Trandafir e la figlia Renata uccise a fucilate da un uomo per il quale i giudici non chiedono l’ergastolo perché, sostengono, arrivato incensurato a 70 anni, non avrebbe mai commesso un simile delitto se non fosse stato spinto da nefaste dinamiche familiari”. Così in una nota le parlamentari del Movimento 5 Stelle nella commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere Stefania Ascari, Anna Bilotti, Alessandra Maiorino e Daniela Morfino.

(fotogramma)

Iv: “Indietro di decenni”

“Le motivazioni della sentenza della Corte di Assise di Modena ci portano indietro di decenni, cancellando i progressi ottenuti con le battaglie delle donne nelle istituzioni e nella società – ha dichiarato la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi – Espressioni come ‘comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore’ o ‘black-out emozionale ed esistenziale’ inducono a credere che possa esistere una giustificazione per chi compie un femminicidio”. Pensavamo di aver finalmente Archiviato parole che anno il potere di rafforzare i pregiudizi, anziché combatterli, purtroppo non le abbiamo definitivamente cancellate, si annidano nelle attenuanti generiche di alcune pronunce giudiziarie. È Arrivato il momento di eliminare quei pregiudizi lessicali e giudiziari, che contribuiscono ad alimentare una cultura della violenza ancora difficile da sradicare”, ha concluso.

Avs: “Vittimizzazione secondaria”

“Uccidere una donna non può mai avere delle motivazioni o peggio delle attenuanti anche se queste, nella narrazione generale, prendono forma all’interno di relazioni altamente conflittuali”, ha affermato la responsabile Libertà & Diritti di Sinistra Italiana Marilena Grassadonia. “Pur rispettando il lavoro di chi giudica – prosegue l’esponente di Avs – le motivazioni addotte denotano un pericoloso scivolamento verso quella che comunemente viene chiamata “vittimizzazione secondaria”, ovvero il tentativo di scaricare la “colpa” del femminicidio sulle azioni della donna. Riteniamo questa deriva altamente pericolosa – conclude Grassadonia – e speriamo che chi ha la responsabilità di giudicare i troppi femminicidi a cui siamo costrette ad assistere, tenga conto di queste dinamiche frutto di quella cultura patriarcale e misogina in cui prendono vita violenze e discriminazioni”.

Pd: “Manuale da patriarcato”

“Premesso che come sempre sarà necessario leggere l’atto, ma se quanto riportano gli organi di stampa fosse confermato, quello che emergerebbe come messaggio dalla sentenza con cui la Corte di assise di Modena ha condannato a 30 anni e non all’ergastolo Salvatore Montefusco, è che saremmo di fronte a un provvedimento da ‘manuale del patriarcato’. Dalla narrazione dei media sembrerebbe infatti che i giudici non abbiano riconosciuto la specificità della violenza contro le due donne e dunque il duplice femminicidio. Il problema non è tanto la pena applicata, ma la motivazione con cui si arriva a quella pena, motivazione che appare grave. Speriamo davvero di essere smentiti dalla lettura della sentenza che attendiamo con apprensione”. Lo dice la senatrice del Pd Valeria Valente della Bicamerale Femminicidio.

Noi Moderati: “Infelici alibi futuri”

“Avvilenti dicotomie nei giudizi in magistratura. Un passo in avanti con la sentenza della Corte di assise d’appello di Torino a favore di Alex Pompa oggi Cotoia, un deciso passo indietro con la sentenza della Corte di assise di Modena. Un giudizio nel giudizio, dove la soggettività prevale sulla oggettività, lasciando spazio a infelici alibi futuri. Si registra, ancora una volta, una dissonanza tra gli interventi legislativi, volti a rafforzare gli strumenti di tutela delle donne, e una giurisprudenza che crea principi di diritto che disorientano la collettività”, Così la presidente della commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, Martina Semenzato deputata di Coraggio Italia e del gruppo parlamentare di Noi Moderati.

 

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