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Fenilchetonuria: cos’è, quali sono le cause e come si tratta

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Questa rara malattia metabolica congenita compare nei bambini che non hanno la capacità di degradare normalmente un amminoacido, detto fenilalanina. Il rischio è che questo si accumuli nel sangue e nel cervello, causando deficit intellettivi

È difficile da pronunciare e può sembrare uno scioglilingua, ma per tanti genitori è diventato un termine tristemente familiare. La fenilchetonuria (o PKU) è una rara malattia metabolica congenita caratterizzata dall’incapacità di degradare normalmente un amminoacido essenziale, la fenilalanina, che a quel punto si accumula nel sangue e, data la sua tossicità per il cervello, causa deficit intellettivi.

«La fenilchetonuria è la malattia metabolica più frequente in Italia con un’incidenza generale di circa un bambino ogni 3000 nati», spiega la professoressa Elvira Verduci, pediatra e professore associato presso l’Università degli Studi di Milano. «Gli amminoacidi sono quelle piccole unità che, legate fra loro, formano le proteine. La fenilalanina rappresenta uno di questi “mattoncini” e svolge diverse funzioni positive nell’organismo: per esempio, interviene nel processo di sintesi della melanina e regola il senso di sazietà».

Il problema sorge quando, a livello epatico, manca un enzima (fenilalanina idrossilasi) capace di smaltirne gli eccessi, convertendo la fenilalanina in un altro amminoacido, la tirosina, per poi eliminarlo dall’organismo.

Cos’è la fenilchetonuria

A causare la fenilchetonuria è un errore nel gene della fenilalanina idrossilasi, localizzato sul cromosoma 12 (di cui possediamo due copie, una ereditata dalla mamma e l’altra dal papà).

«Se il paziente ha entrambi i geni alterati si manifesta la malattia, mentre due genitori portatori del gene hanno il 25% di probabilità di avere un figlio malato: per questo, in termini medici, si parla di malattia ereditaria a trasmissione autosomica recessiva, che può presentarsi in forma più o meno severa in base alla diversa compromissione della funzionalità dell’enzima e al conseguente livello di fenilalanina nel sangue», tiene a precisare l’esperta.

«Per fortuna, se la patologia viene diagnosticata precocemente e le raccomandazioni mediche vengono seguite in modo corretto, i pazienti con fenilchetonuria presentano uno sviluppo cognitivo, neurologico e psicologico assolutamente normale».

Quali sono i sintomi della fenilchetonuria

È piuttosto raro che i bebè manifestino subito dei sintomi, perché i disturbi si presentano progressivamente nel corso di mesi, man mano che la fenilalanina si accumula nel sangue e nel cervello.

«Se non trattato, questo accumulo porta a un deterioramento intellettivo progressivo e a una serie di sintomi addizionali, che possono includere rush eczematoso, autismo, crisi epilettiche e deficit motori. Inoltre, con la crescita, il bambino può manifestare anche problemi nello sviluppo, disturbi comportamentali e sintomi psichiatrici», elenca la professoressa Verduci.

Come avviene la diagnosi della fenilchetonuria

Grazie ai programmi nazionali di screening neonatale, è possibile arrivare alla diagnosi precoce della fenilchetonuria per assicurare che il trattamento inizi in tempi adeguati (idealmente entro i primi dieci giorni di vita), in modo da prevenire le possibili conseguenze sulla salute.

«Rispetto ad altre malattie rare, difficili da diagnosticare, la fenilchetonuria viene individuata grazie a un semplice test di screening, effettuato su una goccia di sangue del neonato raccolta fra le 48 e le 72 ore dopo la nascita, che permette di analizzare i livelli di fenilalanina. Nel caso in cui i valori risultino oltre i limiti di riferimento, il neonato viene sottoposto a un inquadramento diagnostico presso un centro regionale di riferimento», descrive la professoressa Verduci.

Tra l’altro, grazie allo screening, la malattia può essere classificata in quattro diversi fenotipi: fenilchetonuria classica (valori superiori a 1200 micromoli per litro, μmol/l), fenilchetonuria moderata (tra 600 e 1200 μmol/l), fenilchetonuria mild (tra 360 e 600 μmol/l), iperfenilalaninemia lieve (tra 120 e 360 μmol/l); condizione, quest’ultima, che non necessita di trattamento. «Per ogni fenotipo, è possibile determinare un quantitativo massimo di fenilalanina assumibile con la dieta, che consenta al paziente di mantenere i livelli dell’aminoacido nel sangue entro il target terapeutico».

Come si tratta la fenilchetonuria

La dieta è la colonna portante del trattamento per la fenilchetonuria: siccome la fenilalanina è un amminoacido essenziale, cioè non può essere sintetizzata dall’organismo, le sue concentrazioni nel sangue dipendono esclusivamente dalle quantità assunte con l’alimentazione.

Ecco perché è fondamentale limitare tutti gli alimenti contenenti proteine naturali, che vengono sostituiti con prodotti a basso contenuto proteico e con miscele di amminoacidi prive oppure a basso contenuto di fenilalanina, da assumere con costanza e da bilanciare correttamente.

È importante bilanciare

Tutto va perfettamente bilanciato, sia perché una minima quantità di fenilalanina è indispensabile per vivere, sia perché il drastico taglio delle proteine dalla dieta determina anche una ridotta assunzione di altri amminoacidi essenziali e nutrienti normalmente presenti nella dieta proteica.

«Ad oggi non c’è ancora certezza sulle conseguenze in età adulta di una condizione di iperfenilalaninemia, anche se sono stati descritti problemi di attenzione, difficoltà sociali ed emotive, diminuzione della memoria e della fluidità verbale. Per questo, va raccomandata la prosecuzione della dieta per tutta la vita al fine di raggiungere un normale funzionamento neuro-cognitivo e psico-sociale, supportando il paziente ad aderire al piano alimentare anche attraverso un regolare controllo periodico effettuato dall’équipe multidisciplinare di riferimento: medico metabolista, dietista, psicologo».

Fenilchetonuria: quali terapie

Ad alcuni pazienti, con forme più lievi della malattia o con genotipi responsivi al trattamento, viene proposta la somministrazione del cofattore enzimatico BH4 (sapropterina dicloridato): «Si tratta di una terapia sicura anche per i bambini con età inferiore ai 4 anni e che potrebbe essere presa in considerazione per la gravidanza, periodo particolarmente delicato in cui risulta di fondamentale importanza mantenere i livelli plasmatici dell’amminoacido entro intervalli di concentrazione sicuri», conclude la professoressa Verduci.

«L’efficacia clinica di questa terapia viene verificata caso per caso, a seconda dell’aumento della tolleranza alle proteine naturali e del controllo metabolico raggiunto, ovvero dei livelli plasmatici di fenilalanina. Recentemente, per i pazienti di età superiore ai 16 anni, si è resa disponibile anche la terapia di sostituzione enzimatica, che potrebbe permettere ai pazienti di metabolizzare in autonomia la fenilalanina e reintrodurre le proteine di origine naturale nella propria alimentazione».

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