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Figlio scambiato in culla, il dramma di una rifugiata: non può riabbracciare la sua famiglia

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Era fuggita dal suo paese, la Somalia, dopo l’aggressione da parte di un clan di ribelli. In Italia ha trovato un lavoro e ottenuto lo status di rifugiata. Ma quando ha chiesto il ricongiungimento familiare, per il marito e i quattro figli, ha scoperto una verità sconvolgente. Il permesso è arrivato per tutti tranne che per quello adolescente. Perché il test del dna, necessario per ottenere il visto, ha dato un esito inaspettato: l’incompatibilità genetica, sia con la madre che con il padre.

La burocrazia non si è commossa di fronte alla disperazione della madre, 38 anni, alle foto di famiglia che raccontano una vita insieme, ai certificati di nascita e ai documenti che dimostrano quello che va ben al di là di un’impronta genetica. “Io l’ho allattato e cresciuto – ha raccontato la donna – non ho mai avuto dubbi di alcun tipo”. Di fronte all’esito del test, non le resta che ipotizzare uno scambio di culle alla nascita, nello Yemen. Ora dovrà affrontare una battaglia legale, al tribunale di Roma, per superare la rigidità della burocrazia e convincere le autorità della sua buona fede per poter riabbracciare tutti i figli e non solo tre. Per questo si è rivolta all’avvocato torinese Luca Ruella, specializzato in diritto di famiglia, che porterà il suo caso davanti ai giudici per superare il rigetto della domanda.

“Mi auguro un esito favorevole – spiega il legale – la documentazione dimostra momenti della loro vita familiare, fin dal certificato di nascita”. Una foto la mostra con il neonato in braccio, in un’altra il bimbo stringe le mani di mamma e papà, oppure è con i fratelli. Scatti che arrivano da un mondo lontano, dove la madre indossa abiti islamici tradizionali.

Sembrava un iter normale quello intrapreso per il visto per motivi familiari. Senza timore la donna si era recata a fare il test del dna in Italia, mentre il marito e i figli l’avevano fatto all’estero. “La mia famiglia si trova nello Yemen – aveva spiegato alla commissione per la protezione internazionale – Sono fuggita dopo un’aggressione. In Yemen ho conosciuto mio marito e mi sono sposata. Poi è scoppiata la guerra, un giorno c’è stato un forte bombardamento e quando sono tornata a casa mio marito e i miei figli non c’erano più. Li ho cercati a Hudeya, una città in riva al mare, dove degli uomini Houthi mi hanno picchiata e violentata. Alcuni connazionali mi hanno consigliato di partire con loro, per l’Italia, nel 2017: da qui ho chiamato i miei suoceri che mi hanno detto che la mia famiglia si trovava nello Yemen”.

La speranza era riunirsi. Ma l’ambasciata italiana di Nairobi ha comunicato “la non attribuzione del rapporto di parentela tra il richiedente il visto, la presunta madre in Italia e il presunto padre biologico”, si legge nel documento che sancisce il rigetto del visto.

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