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Cinque giorni per trattare. Con un obiettivo: capire se la Lega intende ottenere qualche limatura e sancire un accordo politico, oppure provocare una crisi. Perché Mario Draghi è disposto a incontrare martedì prossimo Matteo Salvini e Antonio Tajani. A concedere qualcosa, se necessario. Ma certo non a rinunciare all’agenda dell’esecutivo. Perché il sospetto che inizia a farsi largo ai vertici del governo è che il Carroccio stia cercando l’incidente per destabilizzare Palazzo Chigi nel mezzo di un conflitto internazionale.
Così le liti sulle riforme rischiano di far saltare gli obiettivi del Pnrr
di
Serenella Mattera
L’aria è pesante. Il ministro dell’EconomiaDaniele Francotrascorre alcune ore nella sede dell’esecutivo. Si ragiona di come uscire dallo stallo: non è possibile continuare a bocciare sul filo gli emendamenti in commissione Finanze, perché la caduta è dietro l’angolo. E poi il muro contro muro non sarebbe replicabile in Aula: mancherebbero i numeri. E così, si decidono due cose. Primo: i prossimi giorni serviranno a Franco per trattare informalmente con gli ambasciatori del centrodestra, per ricercare un punto di caduta ragionevole.
Secondo: sul catasto non si arretra, non ci sarà alcuno stralcio, mentre non è escluso qualche piccolo ritocco sulle altre norme (le aliquote su risparmio e affitti). Il nodo è ovviamente politico: se la Lega intende accettare queste modifiche per issare la bandiera del “niente tasse”, il governo lascerà fare in nome delle riforme. Ma se progetta l’incidente parlamentare per ribaltare un esecutivo che non riesce altrimenti a mettere in discussione, allora la strada sarà obbligata: fiducia, e ciascuno si assumerà le proprie responsabilità.
È con queste premesse che nasce la nota ufficiosa di ieri. “Il governo – fa dire il premier a fonti di Palazzo Chigi – non ha alcuna intenzione di aumentare le tasse. Draghi ha dichiarato più volte questo impegno sin dall’inizio del suo mandato, in Parlamento, in incontri pubblici con il mondo imprenditoriale e industriale, ai vertici internazionali e anche nei vari confronti con i leader delle forze di maggioranza”. E lo stesso vale “per affitti e risparmi”.
La verità è che Draghi è stufo. Stufo di trattare su questioni che ritiene strumentali, mentre attorno il mondo è stravolto da una crisi senza precedenti. Incontrando i leader del centrodestra, cercherà anche di capire quanto alta è la minaccia per la tenuta dell’esecutivo. Di certo, a questo punto non può più neanche scommettere che la Lega voglia davvero restare al governo fino al 2023.
Il rischio di un incidente – di una crisi insomma – torna ad essere alto. Per questo, Salvini e Berlusconi si sentono di buon mattino e decidono di andare “fino in fondo” nel difendere punti che erano contenuti nel programma del centrodestra. Sono convinti della tesi opposta a quella del Pd: la delega fiscale, sottolineano, colpisce soprattutto il ceto medio dei proprietari immobiliari e degli investitori, che è poi il proprio elettorato. Salvini è convinto che alcune argomentazioni di Draghi siano deboli (in particolare il fatto che del catasto se ne parli dopo il 2026) ed è irritato per quella che definisce “una frase infelice del premier” nel liquidare lo scontro: “Abbiamo votato altre due volte a abbiamo vinto noi”. Il senso della replica del leader è allora questo: “Perché su giustizia e fondi per la difesa i grillini che alzano i toni vengono ascoltati, mentre con noi c’è un atteggiamento diverso?”. La Lega insomma non molla, ma si dice allo stesso tempo convinta che alla fine Palazzo Chigi cederà su qualcosa. E le accuse sono ribaltate: “È Draghi a voler rompere ed è più facile farlo con il centrodestra, visto che Pd e M5S non si scollano dalle poltrone”. Così, con questo muro contro muro, cominciano i cinque giorni della verità.