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Formigoni: “In carcere mi chiamavano il presidente. Ora vivo con mezza pensione e sogno la politica”

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RIMINI – “Ehilà, Roberto!”

Pacche sulle spalle.

“Stai bene?” gli chiedono.

Roberto Formigoni se ne sta seduto in una poltroncina, un po’ ai margini del Meeting. Capelli bianchi, camicia bianca, scarpe bianche, la camicia fuori dai jeans, l’aria compiaciuta. Sta scrollando lo smartphone.

Ha 77 anni. Non li dimostra.

Davanti a noi entrano i ministri con gli staff, i portavoce, i capi di gabinetto, i consiglieri del piccolo mondo romano, uomini brizzolati stretti nei loro completi azzurri, la mascella volitiva: la rappresentazione dell’eterna Italia del potere.

Le manca tutto questo, chiediamo a Formigoni.

“Eh” fa. “Ne ho avuto tanto, governatore della Lombardia dal 1995 al 2013, poi, come tutte le cose del mondo, è finita”.

La fine arrivò con gli scandali. La corruzione. Le dimissioni. Il ripudio del Meeting, la sua creatura. Infine la sentenza: cinque anni di carcere.

Cosa ricorda della galera?

“Cinque mesi a Bollate”, dice.

“Ero in cella con due che avevano commesso un omicidio e un bancarottiere. Quando arrivai uno dei due dentro per l’omicidio mi spiegò come funzionava la vita in galera. Qua si cucina. Qua c’è il cesso, come vedi è diviso solo da una tenda. E’ piccola, bisogna fare i turni, occorre pulire, ma tu non farai nulla di tutto questo, perché hai fatto il bene della Lombardia. Dopo un po’ presi l’abitudine a buttare via almeno le briciole nel corridoio, dove passavano quelli con le scope. Bravo, mi disse il presunto omicida, così quelli fuori vedranno che anche tu lavori. Ma in realtà non facevo niente. Per tutti ero il presidente, anche le guardie mi chiamavano ancora così, e facevano la fila per parlarmi. Mi chiedevano aiuto”.

Formigoni si agita sulla sedia.

“Il carcere deve essere rieducazione. Vanno previsti diversi trattamenti, specie per chi è dentro per piccoli reati. Soprattutto i detenuti devono poter lavorare. Ma come farlo se c’è il sovraffollamento? E poi occorre costruire più penitenziari”.

Vorrebbe parlare del passato, di quello glorioso. “Avevo 33 anni, quando fondammo il Meeting. Vennero questi amici di Rimini a Milano, a discuterne con me e con don Giussani. Dissero: a Rimini vengono un milione di persone, facciamo qualcosa per loro, cultura, politica, mostre. Don Giussani sosteneva che nulla che è umano ci è estraneo, e noi invitammo la segretaria di Solzenicyn, il regista Tarkovskij, organizzammo un’amichevole Roma-Atletico Madrid, la sinistra stava declinando, i movimenti extraparlamentari chiudevano i battenti, Lotta Continua, che io leggevo…”

Formigoni leggeva Lotta Continua?

“Certo, all’epoca si leggevano un sacco di giornali”

“…il quotidiano del movimento extraparlamentare era pieno di dibattiti sui morti di eroina, c’erano i boat people in fuga dal comunismo in Vietnam, Giuliano Zincone sul Corriere scrisse un pezzo critico con la sua parte politica, titolandolo “Orfani”, in tutto questo Comunione e Liberazione spuntò come un fiore. Alla prima edizione arrivarono centomila persone, il Meeting durò nove giorni, e fu possibile, come oggi, grazie all’aiuto dei volontari che si prendono le ferie per lavorare qui. Il primo dibattito lo moderai io: Andreotti, Martelli, e Fanti, il presidente comunista dell’Emilia Romagna. Tema: Pace e diritti dell’uomo. Fino a quel momento la gioventù cattolica era l’Azione cattolica, noi eravamo diversi, il nostro non era un cattolicesimo di regole, di precetti morali, di gesti di devozione. Eravamo un’altra cosa”.

Molto più integralista, molto più settaria, lo interrompiamo.

“No, no”, fa Formigoni.

Sembra davvero convinto.

“I cristiani erano noiosi. Noi no. I politici se ne accorsero. Nel 1981 volle venire Spadolini, il primo presidente del Consiglio laico. L’anno dopo fu l’ora del Papa, coi postumi dell’attentato! Karol Wojtyla venendo dimostrò la sua grandissima stima per noi e per i movimenti cattolici. Nel 1983 invitai Sandro Pertini. Presi ad andarlo a trovare al Quirinale, più volte. Mi accoglieva festoso con “Roberto!”, “certo che vengo”, assicurava. Si dichiarava ateo ma aveva curiosità per noi. Il giorno della sua venuta l’onorevole Sanese mi informa che il Quirinale gli ha detto che Pertini ha preso una storta e che non verrà. Chiamo Maccanico. Mi conferma che non può venire. “Ma qui ci sono trentamila persone che lo aspettano”. Sento che è una scusa. Salgo su un elicottero, mi faccio portare in Val Gardena, scendo, lo cerco, e mi dicono che è a camminare, in montagna…”

Cl è una lobby?

“Macché” fa Formigoni.

“Eravamo ragazzi, molti di noi hanno messo su famiglia, costruito la loro azienda, poi nel 1987 abbiamo fondato la Compagnia delle Opere per essere più forti”.

Suvvia, presidente. Cl con lei governatore governava anche la Lombardia.

“Ma no”, dice Formigoni. “Dissi ai miei che a parità di offerta dovevano scegliere l’impresa migliore, non quella di Cl. Lo sa che su 84 dirigenti sanitari solo quattro erano di Comunione e Liberazione?”.

Ma lei ha privatizzato la sanità lombarda.

“Anche questo è falso! Mi dia una pagina di giornale per spiegarlo”.

Lo dica qui, ora.

“Falso, falso, falso” ripete.

“Con la mia riforma i nullatenenti potevano curarsi al San Raffaele, come Berlusconi: la sinistra avrebbe dovuto votarmi”.

Niente sembra incrinare la sua certezza di essere stato nel giusto, di avere fatto solo del bene. Dice che anche la sua condanna fu “totalmente ingiusta”. “Ma da uomo delle istituzioni e da cristiano l’ho accettata”.

Si è fatto inquieto. D’improvviso si alza. Non vuole più. Spiega che in tanti gli hanno chiesto di candidarsi, “ma sono libero soltanto dal 12 novembre, meglio aspettare un po’”, da qui il suo diniego. “Non escludo di tornare. La politica mi ha dato tanto, però ce l’ho nel sangue. Di leader non ne vedo molti. Meloni però non mi dispiace. Come vivo? Mi hanno dimezzato la pensione, prendo poche migliaia di euro, vivo con quelle poche migliaia e arrotondo con piccole consulenze”.

Degli amici lo chiamano, invitandolo a pranzo. Si congeda.

La sensazione che Roberto Formigoni sia ancora nel cuore di tanti in Comunione e Liberazione resta fortissima mentre si allontana a passi veloci.

 

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