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Il tavolino con le brioche e due cartoni di succo di frutta si staglia sulla parete blu coperta di stelle. Una volta celeste di plastica dove il successo appare come un passaggio obbligato, una logica conseguenza: “Vieni, gioca e vinci”. Il cielo, quello vero, fuori è ancora scuro: sono le 7 del mattino e qui, nelle sale del Bingo Grattacielo di piazza Dante, offrono la colazione. Il cornetto alla crema è ancora tiepido, niente caffè ma si può scegliere tra concentrato di arancia e di ananas.
“Tutti i giorni, dalle 7 alle 9”, precisa il cartello affisso su una bacheca che, solo a leggerla, ti sembra già di aver vinto parecchio. “Tutti i lunedì e martedì, dalle 17 alle 24, piazza a un euro!!”, “Cena da lunedì al sabato, primo piatto a solo 1 euro dalle 20 alle 20.30”, e ancora “Lunedì, martedì e giovedì bingo happy da un euro”. È tutto un punto esclamativo, eppure c’è ben poco di happy in queste sale: nella luce netta del neon, nel finto mosaico classicheggiante all’ingresso che mostra due antichi con il peplo che accarezzano un leone addomesticato, nei gorgoglii metallici delle videolottery dove si mescolano sfingi e zombi e donne di cuori, un campionario infinito dell’immaginario per lo stesso, identico gesto. Start. Bet. Stop.
Gli inservienti sfilano avanti e indietro a disinfettare il pavimento lucido, nella sala fumatori qualcuno sta passando l’aspirapolvere. È prima mattina, eppure c’è già qualcuno. Un uomo alto, capelli un po’ radi, maglione grigio e pantaloni larghi, età indefinibile tra i quaranta e i sessanta. Addenta una brioche e gira intorno alle slot machine, come se le passasse in rassegna.
“Sei nuova, qui? Non dovresti giocare”, dice. Si presenta. Fa il muratore, è di origine albanese, vive a Genova da vent’anni. Lo chiameremo Giovanni. Viene qui quasi ogni giorno, prima di andare a lavorare, o dopo. Oggi no, però. Non c’è nessun cantiere che lo aspetta. Resterà qui. “A noi ci rovina la politica, che tiene i poveri per il collo. E la società: la gente ha una cattiveria dentro”, dice.
Perché giochi?, gli chiediamo. “Lo faccio da dieci, quindici anni. Perché? Perché sono malato nella testa”, sorride. “Nei giorni scorsi ho perso 350 euro. Non vinci, e se vinci poi perdi. È come una droga. E dopo, quando hai finito, non stai meglio: senti addosso uno stress, l’ansia di aver perso”.
Sono le sette e mezza, non siamo più gli unici nella sala. Una donna di mezza età scende le scale, diretta alla sala bingo. Poco dopo arriva anche una ragazza, poi un giovane. Non hanno voglia di parlare, entrano e si siedono a un tavolo. I numeri vengono snocciolati al microfono, una litania gracchiante. “Sono arrivati i tablet per giocare a bingo da qualsiasi tavolo”, annuncia un cartello appiccicato alla porta a vetri. Di sopra, tra il tavolo della colazione e la bacheca delle offerte c’è un’altra parete, di tutt’altro tenore. Sono le raccomandazioni con il logo della Cirsa, gruppo internazionale fondato in Spagna e presente in tutto il mondo con un “network di oltre 300 società dedicate alla fabbricazione, alla commercializzazione e alla gestione di prodotti e di centri per lo svago ricreativo e interattivo”, precisa il sito web. E dunque, “Il gioco può creare dipendenza” e “Gioca responsabilmente”.
Ci sono anche le “Note informative sulle probabilità di vincita” e il test di autovalutazione: otto affermazioni come “spesso mi accorgo che, quando finisco di giocare, rimango senza soldi” e “sì, ho cercato di vincere denaro per pagare debiti”, e “se ti sei riconosciuto in almeno 4 significa che per te il gioco può diventare un problema”. E l’effetto è un po’ quello che provoca ascoltare Giovanni, che quando parla sembra sdoppiarsi: “Qui non si vince mai, è impossibile. Chi gioca alle macchinette è malato di testa”. Mostra le mani, i calli gialli sui palmi. “Io lavoro, ho sempre lavorato tanto. Lavoro e vengo qui. È una cosa che ti prende dentro, non ce la fai. Quelle persone, lì sotto, ci lasciano tutto: ci lasci la vita, qui davanti”. La macchinetta gorgoglia di luci, sullo schermo lampeggia una scritta come uno sberleffo: “Buona fortuna”.