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Il documento di richiesta di archiviazione è formato da due sole pagine. Ed è perentorio: quanto dichiarato nell’aula di Palazzo Tursi dalla consigliera comunale di opposizione Francesca Ghio – «quando avevo dodici anni sono stata violentata fisicamente e psicologicamente… per mesi da un uomo di cui mi fidavo» – si riferisce a eventuali reati ormai prescritti. Perché gli abusi raccontati in consiglio sarebbero stati compiuti nel 2005, e dunque estinti nove anni fa, nel 2015.
Al pubblico ministero Federico Panichi sono bastate le copie di due giornali che hanno dato conto dello sfogo di Ghio in Sala Rossa (uno è Repubblica) per poter mettere nero su bianco le sue conclusioni. A proposito di una vicenda comunque non ancora chiusa, visto che il legale della consigliera, Michele Ispodamia, nei prossimi giorni presenterà l’opposizione all’archiviazione, da discutersi davanti al Gip.
Ghio, una volta trapelata l’intenzione della Procura di archiviare, aveva manifestato tutto il suo disappunto: «Credo che sia curioso e triste che io non sia stata sentita dalla magistratura».
La “risposta” è contenuta nell’ultimo paragrafo firmato dal pm: «Per accertare la già avvenuta prescrizione del reato non è necessario alcun ulteriore accertamento, di nessun genere e nessun atto di identificazione di colui che – secondo quanto potrebbe dichiarare Ghio Francesca e non risulta avere dichiarato – ne sarebbe l’autore». Come dire: l’audizione di Ghio ai nostri fini è inutile.
il caso
La consigliera Francesca Ghio e Giorgia Meloni: “Non voglio supporto, ora agite”
di Marco Lignana, Giada Lo Porto
Non a caso, il fascicolo è decisamente scarno: oltre ai due articoli di giornale, copia del certificato di nascita della consigliera rossoverde.
Resta pure un piccolo giallo: nella richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura, firmata 11 dicembre ma arrivata oggi all’indirizzo Pec del legale di Ghio, il 7 gennaio è stata aggiunta una nota a penna, in cui si fa presente che il documento sarebbe stato spedito al magistrato coordinatore del gruppo “fasce deboli” (Luca Scorza Azzarà) perché «il visto non era stato esposto a suo tempo dal procuratore aggiunto» Vittorio Ranieri Miniati, nel frattempo andato in pensione. Ma nella richiesta notificata, come notato dagli stessi Ghio e Ispodamia, il visto di un secondo magistrato continua a mancare.
Se è vero che la “doppia firma” non è obbligatoria nei casi di atti spediti al Gip, questa “stranezza” può essere interpretata come una possibile divergenza di opinioni in Procura sul prendere o meno a verbale le dichiarazioni di Ghio. In alternativa, si tratterebbe di un semplice intoppo burocratico del sistema digitale “App”. Dalla Procura, almeno per il momento, non sono arrivati chiarimenti definitivi.