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Affonda nei tempi cupi dei manicomi lager la storia di Gisella Trincas, 73 anni, due fratelli disabili cui ha dedicato la vita e oggi presidente di Unasam, l’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale che si battono per la piena applicazione della legge 180. È nella Sardegna di fine anni Sessanta, ben prima che Franco Basaglia rompesse le porte dell’ospedale di Trieste per portare i suoi “matti” oltre i cancelli dell’ospedale psichiatrico, che Maria Antonietta, sorella maggiore di Gisella, inizia mostrare i segni del suo disagio.
Lei era una ragazza, Gisella. Cosa ha voluto dire crescere con accanto una persona con sofferenza mentale?
«Vivevamo a Cagliari, Maria Antonietta aveva 20 anni quando cominciò ad avere comportamenti aggressivi, ad autoisolarsi, a essere violenta in particolare verso nostra madre. Giravamo da un medico all’altro, la riempivano di farmaci, una volta morse la mano di un operatore e da lì partì il primo ricovero in manicomio. Si chiamava “Villa Clara”, un luogo devastante, di contenzione e di abusi. Anni di elettroshock, di porte chiuse, di sbarre. La sua malattia ci segnò tutti, per sempre. Anche quando andai via di casa, vivevo in un’allerta perenne, pronta a correre se Maria Antonietta diventava violenta».
Quale era la diagnosi?
«Schizofrenia. La stessa diagnosi che avrebbero fatto anni dopo a mio fratello Raffaele. Maria Antonietta rimase incinta due volte e le portarono via le bambine. È per i miei fratelli che ho deciso di occuparmi di salute mentale, per le migliaia di famiglie che vivono una condizione come la mia».
Sono passati tanti anni. Com’è cambiata la vita dei suoi fratelli?
«In Sardegna la legge Basaglia è arrivata tardi, gli ultimi manicomi sono stati chiusi tra il 1998 e il 2000. Ma noi intanto studiavamo e a metà degli anni Novanta, insieme ad altri familiari, abbiamo aperto “Casamatta”, una comunità per malati di mente secondo il modello Basaglia, che potessero vivere in autonomia seguiti dagli operatori, Non più sbarre, camicie di forza, elettrochoc. Ogni utente con la propria stanza e soprattutto le chiavi di casa. Sembrerà incredibile, ma Maria Antonietta da allora non ha più avuto episodi di violenza e nessuno è mai scappato da “Casamatta”».
E suo fratello Raffaele?
«Oggi vive in un appartamento con un altro utente dei servizi psichiatrici e un operatore che li segue. La mia famiglia è un esempio di applicazione della legge Basaglia. Per questo sono indignata per la legge di riforma firmata da Fratelli d’Italia in discussione al Senato».
Insieme a molte altre associazioni e società di psichiatria avete firmato un appello contro il disegno di legge. Perché?
«Perché utilizzando un linguaggio ingannevole ci riporta nella filosofia di una psichiatria manicomiale. Si punta a ospedalizzare e a separare i pazienti dalla società e dalla famiglia, non a curarli nel loro contesto. Si tornano a evocare misure di sicurezza speciali coinvolgendo il ministero della Giustizia invece di aumentare i servizi territoriali. Aumentano i posti letto nei servizi di diagnosi e cura, luoghi chiusi e separati, invece di sostenere i centri di salute mentale. Chi ha una sofferenza psichiatrica oggi torna ad essere non una persona da curare ma un soggetto pericoloso da isolare. Ma tutto questo è disumano».