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Governo: Ilva e contante, Draghi ci riprova ma il Parlamento è pieno di trappole

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ROMA – Il governo interverrà per rimettere a posto le cose, per dare ad Acciaierie d’Italia (l’ex Ilva) almeno una parte dei fondi cancellati da un “blitz” di maggioranza con un emendamento al Milleproroghe. Il premier, Mario Draghi, lo ha fatto capire ai capi delegazione giovedì, nella riunione convocata per avvertirli della sua indisponibilità ad andare avanti se le decisioni del Consiglio dei ministri continueranno ad essere sconfessate.

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E il governo, con il Parlamento, starebbe già studiando come porre rimedio, sia su Ilva che sul tetto al contante innalzato dal centrodestra, contro il parere dell’esecutivo, da 1000 a 2000 euro. Le correzioni potrebbero non arrivare subito, visto che il decreto Milleproroghe è in scadenza e sarà blindato con due voti di fiducia, in settimana, prima alla Camera poi al Senato.

Ma l’intenzione è tenere la barra “dritta” sui provvedimenti, anche in vista di temi cruciali come fisco e concorrenza. Per non perdere i fondi del Pnrr bisogna lavorare a “ritmi europei”, sottolineano dal governo: è già in corso l’istruttoria su un nuovo decreto, con norme per semplificare e velocizzare le opere.

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Qualcosa, però, dopo il voto per il Colle si è inceppato tra esecutivo e Camere. Draghi si è detto disposto “a fare tutto quel che serve” per rendere più fluidi i rapporti ma per cambiare metodo, ha sottolineato, bisogna essere in due. “Ha fatto bene”, dice Enrico Letta, a strigliare la maggioranza: il segretario Pd ha rimproverato i deputati dem per aver votato contro il governo su Ilva, per ridare alle bonifiche i 575 milioni che l’esecutivo aveva destinato alla società.

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Il risultato di quel voto, osservano dal governo, è che ora si dovrà intervenire a sostegno dell’azienda con una nuova norma. In futuro, suggerisce il segretario Pd, “come metodo bisogna distinguere i temi negoziabili da quelli non negoziabili, su cui è giusto mettere la fiducia”. Letta torna così a prendere anche le distanze dalle “ambiguità” e i distinguo di Matteo Salvini. Mentre il ministro leghista Giancarlo Giorgetti ne fa una questione di sistema: “La portata delle sfide richiede un governo che non solo possa ma sappia decidere, una democrazia che aiuti la crescita senza pensare a tornaconti elettorali”.

Proprio le imminenti campagne per amministrative e referendum rischiano di far impantanare riforme cruciali per gli stessi obiettivi del Pnrr, come quella del Csm. Non solo. Lunedì scadranno gli emendamenti al decreto Sostegni ter in commissione al Senato e già si annuncia una valanga di emendamenti, almeno mille, da parte dei partiti che vorrebbero aumentare fondi a settori come il wedding o allargare ancora le maglie del Superbonus.

E ancora: le due leggi delega che servono a dare il via alla riforma fiscale e a interventi corposi di liberalizzazione, dai taxi alle spiagge, sono ferme da mesi. In commissione al Senato almeno fino agli inizi di marzo proseguiranno centinaia di audizioni sulla concorrenza, ma è già chiaro che su temi come i servizi pubblici locali o i balneari, i partiti (Lega su tutti) daranno battaglia. Paolo Ripamonti, relatore leghista, non si sbilancia sui tempi di approvazione: “Il Parlamento deve avere la possibilità di approfondire, perché il provvedimento sia performante”.

Grossi problemi anche per la delega fiscale, che doveva essere in Aula a fine mese ed è già slittata. Il centrodestra ha presentato emendamenti soppressivi della norma sul catasto, che la Lega in Cdm non aveva votato ma che Draghi considera centrale. Per sbloccare la situazione il presidente della commissione, Luigi Marattin, si augura “interlocuzioni politiche” tra il governo e i partiti che si sono messi di traverso.

Alcuni capi delegazione auspicano che sia lo stesso premier a convocare i capigruppo, ma è più probabile che Draghi tenga i rapporti con i leader e i ministri, delegando loro i rapporti con i partiti (magari con il supporto del sottosegretario Roberto Garofoli). Bisognerà lavorare “sette giorni su sette”, sottolinea il ministro Federico D’Incà. La situazione è assai complicata.
 

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