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ROMA – Si avvicina a passi rapidi al tavolo della riunione. Non sorride, non c’è niente da ridere. Per la prima volta da quando è a Palazzo Chigi, Mario Draghi mostra invece tutta la rabbia del mondo. “Non siamo qui per scaldare la sedia e neanche per perdere tempo – dice ai ministri capidelegazione – Se ai partiti e al Parlamento non va bene questo governo, trovatevi un altro governo”.
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Valentina Conte
Rabbia fredda, insomma. Affondo lucido per chiarire che non tollererà oltre, perché il capo dell’esecutivo non considera gli incidenti parlamentari legati al merito dei dossier o al metodo di lavoro con i partiti. C’entra la politica, la disponibilità dei leader di andare realmente avanti, senza cedere alle preoccupazioni elettorali. “Quanto successo nelle ultime ore è grave. Un voto unanime in consiglio dei ministri non può essere sconfessato un minuto dopo in commissione. Così non si va avanti”.
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Non è un fulmine a ciel sereno, ma i ministri non si aspettavano uno sfogo così duro. Le montagne da scalare, lascia intendere Draghi, non prevedono sgambetti tra compagni di cordata. “Ci sono delicate questioni internazionali – elenca con puntiglio – Dobbiamo approvare la legge sulla concorrenza, altrimenti perdiamo risorse. Abbiamo una delega fiscale ferma”.
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Silenzio attorno al tavolo. Non è finita, non finisce più: “Se dobbiamo fare un anno di campagna elettorale, allora tanto vale dirlo chiaramente: abbiamo scherzato. Tanto vale prenderne atto”. Una scossa elettrica scuote la sala, i ministri sussultano: il premier evoca di fatto la fine del suo governo. Il passo successivo sarebbe inevitabilmente il voto anticipato in primavera. Appena terminato il summit, vengono informati Enrico Letta, Antonio Tajani, Matteo Salvini, Giuseppe Conte, Matteo Renzi. “Se va avanti così – si sfoga Andrea Orlando – rischiamo che la Lega porti il Paese al voto”. Salvini, sempre lui, è l’indiziato di una possibile crisi.
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Giovanna Vitale
C’è un antefatto, in questa storia. È mattina e su Bruxelles il vento ribalta le transenne attorno all’Eurobuilding. Squilla il cellulare di Draghi, è il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà. Avverte il premier di una notte folle in Parlamento, di deputati arrivati a un millimetro dalla rissa. Lo slot del volo di ritorno recita: “Decollo per Roma ore 18”. Dall’ala militare dell’aeroporto belga, però, l’ex banchiere riparte alle 14. Si lascia alle spalle il Consiglio europeo in corso, consegnando il discorso sull’Africa ad Emmanuel Macron. Un’ora e mezza dopo è a Roma, direzione Quirinale. Davanti a Sergio Mattarella annuncia l’ultimatum che consegnerà ai capidelegazione. La copertura del Colle è totale.
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Serenella Mattera
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Giovanna Vitale
Proprio Mattarella torna nei ragionamenti che rappresentano l’ossatura dello sfogo. “Questo governo esiste perché il Presidente lo ha voluto per fare le cose”, ricorda a tutti. I ministri provano a reagire. “Presidente – dice Giancarlo Giorgetti – su alcuni temi centrali devi coinvolgere i leader”. Il leghista ricorda anche l’esplosione di applausi quando Mattarella ha evocato la primazia delle Camere, “un segnale chiaro”. Maria Stella Gelmini va oltre: “Va bene il lavoro di D’Incà, ma serve ricucire tra Parlamento e governo. Servono riunioni con i capigruppo”. Il 5S Patuanelli chiede di “leggere prima le carte che arrivano in consiglio dei ministri”.
Anche Orlando e Speranza mettono in evidenza alcuni nodi, tutti ricordano il timore dei peones di non essere rieletti. Draghi prende appunti. Poi si blocca. E stoppa tutti: “Io rispetto il Parlamento. Tutti state sostenendo cose ragionevoli. Ma mi interessa fino a un certo punto”. Torna a distinguere, insomma: il problema è politico, non di merito o di metodo. “Noi siamo un governo del fare – e lo ripete una, due, tre volte – non siamo qui non per scaldare la sedia. Bisogna essere realisti, non idealisti”.
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Liana Milella
Che sia furioso dipende anche dalle ultime 24 ore. Mentre i leader continentali riponevano i propri cellulari fuori dal salone del Consiglio per discutere dell’escalation in Ucraina, a Roma il centrodestra brindava all’agguato in commissione Bilancio sul tetto al contante. La legge sulla concorrenza stenta a decollare, “eppure abbiamo fatto cinque riunioni!”. E sulla riforma fiscale, poi, lo stallo prosegue: “Abbiamo approvato in cdm, come è possibile che adesso il centrodestra voglia rimettere tutto in discussione? Così non si va avanti”.
Non parla mai di elezioni anticipate, non sono un suo problema. Tutti però sanno che l’alternativa all’attuale esecutivo è proprio il salto nel buio: la finestra elettorale è aperta per un mese e mezzo ancora. Tutti, adesso, sanno che Draghi ha esaurito la pazienza. Per non sbagliare, ribadirà il concetto ai segretari di partito. “Non preoccupatevi – saluta i ministri – dirò le stesse cose ai leader”.