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Governo, per Draghi la misura è colma. Ora nessuna mossa è esclusa per fermare i blitz dei partiti

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La pazienza sta per finire, anzi è finita da un pezzo. Per Mario Draghi l’ennesima giornata parlamentare vissuta con un pezzo della sua maggioranza che vota insieme all’opposizione è la conferma di un timore che aveva espresso giovedì scorso al Capo dello Stato: i partiti sono entrati in campagna elettorale e governare, in queste condizioni, sta diventando impossibile.

Il principale indiziato naturalmente è Matteo Salvini, ma le stesse considerazioni si allargano agli altri componenti della maggioranza. Dai Cinque Stelle che puntano i piedi sul superbonus fino allo scivolone del Pd sui fondi all’Ilva. La differenza, almeno per quanto riguarda il Nazareno, è che il segretario dem ha capito la gravità della situazione e sta cercando rapidamente di rimettersi in asse con Draghi. Se non altro per non ritrovarsi sotto le macerie se l’edificio dovesse crollare improvvisamente. Non a caso, negli ultimi giorni, il suo mantra è a favore della “stabilità”. Una bussola strategica adottata anche ieri nel discorso di fronte alla direzione. Perché il fatto nuovo è questo: Draghi pensava davvero che il chiarimento politico della scorsa settimana fosse stato sufficiente a far comprendere a tutti le sue intenzioni. Ma questo non è avvenuto. “Il governo è qui per fare le cose e la maggioranza deve garantirgli i voti in Parlamento. Altrimenti non si va avanti”. Ecco, quel “non si va avanti” sembra che non sia stato sentito bene da parte di chi doveva sentirlo. Anzi. Ancora ieri mattina, quasi a voler provocare una reazione, Salvini insisteva su una linea opposta: “Non è guerriglia se il Parlamento modifica in meglio qualche provvedimento uscito dal Consiglio dei ministri”. Così ieri il segretario del Carroccio ha affidato al regista Claudio Borghi la missione, fallita per un soffio, di mandare ancora una volta sotto il governo di cui il suo partito è parte essenziale. Il tema era il Green Pass e la durata dello stato d’emergenza, ma per palazzo Chigi questa plateale sconfessione della linea che tutti sembravano aver compreso e metabolizzato è stata solo la conferma di un andazzo impossibile da gestire. Nei colloqui delle ultime ore il premier è parso ai suoi interlocutori amareggiato, pronto a trarre le conclusioni di uno sbandamento che, dal suo punto di vista, non è più accettabile. “Nei partiti della maggioranza – confida uno dei ministri che ne hanno raccolto lo sfogo – sta prevalendo quello che Freud chiamava l’impulso di morte. Una spinta distruttiva che porta alle elezioni e all’illusione di ricominciare dall’inizio”. Ma nella vita reale, soprattutto in politica, non funziona così.

Affondo Lega-Fdi contro il Green Pass. Maggioranza divisa, centrodestra anche

di
Emanuele Lauria

Serenella Mattera

21 Febbraio 2022

Dunque siamo arrivati alle battute finali del governo? È ancora prematuro tirare una riga, tuttavia il clima è tale che, al prossimo incidente parlamentare, chi conosce bene il premier non esclude più nulla. Nemmeno che l’interessato, senza più consultarsi con qualcuno, salga al Quirinale e riconsegni a Mattarella, il primo motore immobile del governo, il mandato ricevuto un anno fa. I terreni di un possibile strappo del resto si stanno moltiplicando. Draghi considera essenziali gli impegni su concorrenza, appalti e riforma fiscale. E già su questi tre dossier la maggioranza si mostra divisa, con la riforma del catasto bloccata dal veto della Lega e da Forza Italia. Ma in arrivo ci sono due vecchie conoscenze che già accelerarono la crisi del primo governo Conte: il Mes e la Tav. Sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, il ministro Franco non potrà procrastinare ancora a lungo la presentazione del disegno di legge di ratifica del trattato. Nell’ultimo eurogruppo i partner hanno chiesto conto all’Italia del perché non abbia ancora adempiuto all’obbligo. Anche sulla Tav Torino-Lione pende una decisione pesante, finora rinviata. Il progetto aspetta di essere finanziato, con il rischio che l’Italia perda la possibilità di richiedere il co-finanziamento Ue del 50%. I grillini cosa faranno?

La situazione è esplosiva e gli ottimisti a palazzo Chigi sono rimasti in pochi. Un draghiano di ferro come Bruno Tabacci spera che prevalga almeno l’istinto di sopravvivenza, perché “se dovessero costringere Draghi ad andarsene, i partiti ne pagherebbero il conto in campagna elettorale”. Un conto salato, vista la popolarità ancora altissima del premier.

I leader, o almeno alcuni di loro, fanno invece conto sulle capacità del premier di incassare qualsiasi colpo, anche quelli portati sotto la cintura. Tanto c’è il Pnrr e mai Draghi potrebbe lanciare la spugna mettendo a rischio la rata di giugno del Next generation Eu. Un calcolo che somiglia a un azzardo. Anche perché gli uomini del premier hanno già studiato il caso da manuale del Portogallo di Antònio Costa: crisi, elezioni lampo e nuovo governo. La Commissione ha riconosciuto al piccolo paese iberico una pausa di sospensione elettorale per il Pnrr. E non è successo nulla.

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