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roma — «Non possiamo che provare una profonda delusione dopo questa sentenza. Sono passati cinque anni, ma il ricordo della sofferenza inutile a cui sono state sottoposte le persone a bordo è vivissimo». Presidente di Emergency, Rossella Miccio, nell’agosto 2019 era sulla nave dell’ong spagnola Open Arms, che per diciannove giorni è rimasta bloccata in attesa di autorizzazione allo sbarco, ripetutamente negato dal Viminale all’epoca in mano a Matteo Salvini, ieri assolto dal tribunale di Palermo.
Perché eravate sulla Open Arms?
«Ci avevano chiesto una mano, siamo saliti io, uno psicologo e un mediatore. Non potrò mai dimenticare la frustrazione e il senso di impotenza dell’equipaggio di fronte alla mancata assunzione di responsabilità da parte delle autorità italiane, mentre c’erano persone che per disperazione si lanciavano in acqua, anche senza saper nuotare. I naufraghi erano consapevoli di mettere a rischio la propria vita, ma piuttosto che rimanere a bordo in quelle condizioni, preferivano lanciarsi fra le onde».
Per il tribunale però “il fatto non sussiste”, il reato non c’è.
«Siamo molto curiosi di leggere le motivazioni per comprendere cosa non abbia convinto i giudici, in che misura tutto questo non sia punibile. Di certo, anni di processo hanno fatto emergere una cosa: ai naufraghi, che già avevano subito sofferenze indicibili in Libia, ne sono state inflitte di ulteriori. Inutilmente».
Open Arms, tutte le tappe della vicenda che ha portato Salvini a processo
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Secondo il ministro Salvini, avrebbe vinto “il buon senso”.
«Per noi, ha vinto solo la cattiveria di chi alza muri e barriere e in questo momento storico obbliga chiunque sogni una vita migliore a affrontare viaggi pericolosi in mezzo al Mediterraneo su imbarcazioni precarie, perché alternative sicure e legali non ce ne sono».
Questa sentenza va considerata un segnale?
«Difficile al momento valutare. Dovremo leggere e capire prima. Per noi, continua a valere il principio sancito da norme nazionali e internazionali: tutte le persone soccorse in mare, in quanto naufraghe, dovrebbero essere considerate vulnerabili e raggiungere un luogo sicuro nel minor tempo possibile».
Una decisione di questo genere avrà conseguenze sull’attività della flotta civile?
«Già da tempo il clima non era particolarmente favorevole. È da anni ormai che il soccorso in mare viene ostacolato e criminalizzato, in un certo senso siamo ormai abituati».
Voi continuerete a andare in mare?
«Assolutamente sì. Noi continueremo a prestare assistenza a quanti si trovano in pericolo nel Mediterraneo, non solo perché è un obbligo previsto dal diritto internazionale, ma perché è la cosa giusta da fare».
La sentenza è stata salutata da una salva di applausi. Che effetto vi ha fatto?
«Spero solo che nessuna delle persone che era a bordo in quei diciannove giorni li abbia sentiti. Sarebbe l’ennesima sofferenza, dopo quelle patite in Libia, durante la traversata e nei diciannove giorni di inutile attesa a bordo».