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A un certo punto del dibattito sugli aiuti militari all’Ucraina Giuseppe Conte si distinse nell’allora maggioranza Draghi per i dubbi sulla strategia del governo, introducendo anche la distinzione tra armi difensive e offensive, uno dei pochi temi più ingarbugliati del conteggio mandati degli eletti grillini. Ieri, chiamato nel corso del programma In mezz’ora a commentare l’avanzata ucraina nella zona di Kharkiv, il leader M5S ha commentato così: “È quello che ci siamo augurati tutti dicendo sin dall’inizio: ferma condanna verso un’aggressione ingiustificata, pieno sostegno alla popolazione ucraina, ma la nostra strategia è sempre quella di cercare di risolvere i conflitti non alimentando escalation militari”. Conte riesce ad accoppiare due concetti che, presi singolarmente, sono entrambi condivisibili (“Bene il successo militare ucraino” e “male la guerra”), ma che messi insieme producono un cortocircuito. Che significa escalation? Sul fatto che gli ucraini non debbano arrivare a Mosca si fa presto a essere d’accordo. Ma come fa la guerra a finire finché i russi non si ritirano dall’Ucraina? E come fa l’Ucraina a riprendersi il proprio suolo, cosa della quale si compiace anche Conte, senza l’uso della forza militare? Fino a dove può arrivare la riconquista senza che a qualcuno paia “escalation”? Serve un tetto alla riconquista come al prezzo del gas? Non si sa, ma Conte taglia corto ricordando che il M5S è nato il 4 ottobre, giorno di San Francesco. Tutti felici, allora, tranne il principio di non contraddizione che dalla frase di Conte esce avvelenato come dopo una zaffata di polonio.
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