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“Ho perso mio fratello su quei binari a Crevalcore. E lo penso tutti i giorni”

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Bologna – «Il mio più grande rammarico è che non abbia potuto frequentare i nipoti, cui era legatissimo». Carlo Santi si commuove quando parla del fratello Mario, una delle 17 vittime dell’incidente ferroviario di Crevalcore, avvenuto vent’anni fa, il 7 gennaio 2005, quando un Regionale in arrivo da Verona si scontrò con un treno merci. Il processo si è chiuso nel 2011 certificando un errore dei due macchinisti, entrambi morti nello scontro, e assolvendo i dirigenti delle Ferrovie. Oggi 7 gennaio il ricordo a Crevalcore: la messa alle 10, poi l’inaugurazione del memoriale al parco 7 gennaio 2005 con i sindaci Lepore e Marco Martelli e il cardinale Zuppi.

Andrà alle celebrazioni?

«No, siamo andati solo il primo anno. Abbiamo sempre cercato di fare come preferiva la mamma, che oggi ha 97 anni. Ma ho visto che hanno fatto un nuovo memoriale sulla pista ciclabile. Una bella iniziativa».

Cosa ricorda del 7 gennaio 2005?

«Noi eravamo in montagna, mio fratello a Verona perché era amico dell’allenatore del Chievo, Mario Beretta, ed era andato a vedere una partita. Poi ha preso il treno per rientrare a Bologna. Mia mamma era preoccupata perché non lo trovava».

Chi vi ha avvisato?

«In realtà nessuno, non abbiamo avuto comunicazioni ufficiali. Abbiamo sentito dell’incidente, non lo trovavamo e la mattina dopo alla camera mortuaria abbiamo scoperto che i suoi documenti erano lì. La certezza l’abbiamo avuta solo allora. Oggi avrebbe 65 anni».

Che persona era Mario?

«Era una persona molto istruita, molto colta. Laureato in economia e commercio, faceva il consulente in organizzazione aziendale. Leggeva tantissimi libri, si appassionava alla politica e all’economia, aveva lavorato anche per l’Università di Firenze. Era molto attivo e impegnato, ma anche riservato, noi sapevamo solo che doveva rientrare a Roma per lavoro».

Vi eravate sentiti quel giorno?

«Alla mattina, perché era attaccatissimo ai nipoti, li sentiva sempre. Loro si divertivano tantissimo con lui, perché gli faceva fare tutto quel che noi non consentivamo».

Secondo lei giustizia è stata fatta? All’epoca della sentenza alcuni familiari furono polemici.

«Mah, ho sempre pensato che se sono stati tutti assolti in primo grado forse nessuno era colpevole. E i due macchinisti sono stati i primi a morire. Chiamiamola fatalità. Quel giorno c’era una gran nebbia, un signore anziano una volta mi ha detto che una nebbia come quel giorno non l’aveva mai vista. Certo c’è il rammarico per il fatto che allora non c’erano i sistemi di sicurezza di oggi, se li avessero installati prima forse… Ma è inutile accanirsi, non ho mai pensato ci siano state ingiustizie da parte della magistratura, verso cui ho un grande rispetto».

Come lo ricordate il 7 gennaio ?

«Lo ricordiamo tutti i giorni».

Per anni c’è stato anche un premio letterario in suo nome.

«Siamo cresciuti a Milano e fino al liceo Volta i suoi ex compagni di scuola hanno organizzato il “Premio Mario Santi”, una cosa bellissima nella sua semplicità, con buoni per acquistare libri. Andavamo con la mamma tutti gli anni coi miei fratelli Francesco e Alessandro, era un appuntamento imperdibile».

La morte di Mario come ha segnato le vostre vite?

«Ha segnato sicuramente la mamma, che nel giro di pochi mesi ha perso prima mio padre, in agosto, e poi mio fratello. Ma è molto forte, una donna di una volta. È stata una perdita soprattutto per i nipoti, Federico, Andrea, Gabriele e Beatrice, che adesso hanno dai 18 ai 25 anni. A parte Beatrice, che non l’ha conosciuto, erano tutti appassionati di calcio, come mio fratello. Mio figlio Federico all’epoca aveva 5 anni ma lo ricorda ancora con grandissimo affetto. Li viziava tantissimo, li faceva giocare, leggeva loro i libri, li portava alle partite. Questo è il più grande rammarico: sono loro che hanno pagato più di tutti la sua scomparsa.».

 

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