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ROMA – L’Italia ha un numero di dottori di ricerca pari allo 0,5 per cento della popolazione in età lavorativa (25-64 anni). Sono decisamente pochi, tanto che il confronto internazionale ci colloca agli ultimi posti, davanti a Turchia, Lettonia, Messico. Nelle ultime stagioni il numero di dottori di ricerca nel nostro Paese è andato via via diminuendo: dagli oltre 10.000 del 2017 ai quasi 8.000 del 2021. Questa riduzione è dovuta, principalmente, al calo del numero di posti banditi senza borsa di studio.
Il dottore di ricerca è uno studioso che prosegue nel percorso di apprendimento e conoscenza anche dopo la laurea di secondo livello. Il Consorzio Almalaurea, dopo diversi rapporti realizzati dall’associazione interna Adi, ha deciso di fotografare in proprio questo mondo di poche migliaia di giovani studiosi e ha messo a fuoco, innanzitutto, come i livelli retributivi dei dottori di ricerca – donne e uomini iperqualificati, intorno ai trent’anni – sfiorino i 1.800 euro mensili netti (1.784 euro). E questi stipendi, del 2021, sono in aumento del 3,1 per cento rispetto a quanto rilevato nel 2019. Un dottore di ricerca guadagna decisamente di più di un laureato di secondo livello a un anno dalla laurea (+377 euro), ma anche rispetto a un laureato dopo cinque anni (+149 euro). Le retribuzioni più elevate sono dichiarate dai dottori in Scienze della vita (1.966 euro) e Ingegneria (1.791 euro).
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Corrado Zunino
Tasso di occupazione oltre il 90%
Ecco, a un anno dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca, il tasso di occupazione è complessivamente pari al 90,9 per cento, +1,9 punti rispetto al periodo pre-pandemico. La formazione dopo il diploma di laurea è una tutela contro la disoccupazione, visto che i “secondo livello” presentano invece un tasso di occupazione pari al 74,6 per cento a un anno dal titolo di studio e all’88,5 per cento a cinque anni. Sette dottori di ricerca su dieci sono occupati nel settore pubblico.
Sono cinque le aree disciplinari: il 27,6 per cento fa parte di Scienze della vita, il 22,9 di Ingegneria, il 19,1 dell’area delle Scienze di base, il 16,8 di Scienze umane e il 13,6 di Scienze economiche, giuridiche e sociali. Inoltre, il 7,9 per cento ha affermato di aver svolto un dottorato in collaborazione con le imprese (industriale o in alto apprendistato).
La famiglia resta decisiva
La famiglia di partenza resta un elemento decisivo sia per arrivare a questo livello di studi che per il successo degli stessi. Il 44,2 per cento dei dottori proviene da famiglie con almeno un genitore con laurea: 9,6 punti percentuali in più di quello osservato per i laureati. In generale, il 31,1 per cento ha un’estrazione familiare elevata rispetto al 24,8 dei “secondo livello”. In particolare, nei settori di Scienze economiche, giuridiche e sociali.
Età media tra le più basse
L’età media di chi arriva in fondo è pari a 32,6 anni, tra le più basse dei Paesi Ocse. Nel 2019 era di 31,5 anni, valore più elevato solo di quelli registrati in Francia (30,5 anni) e Lussemburgo (30,8). Germania e Regno Unito avevano un’età media al dottorato poco sopra i 32 anni. Resta una scelta felice, quella dello studio prolungato: il 65,7 per cento dichiara che, potendo tornare indietro, si iscriverebbe nuovamente allo stesso corso e allo stesso ateneo. Il 17,2 per cento seguirebbe, invece, un dottorato all’estero.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza punta a incrementare gli investimenti su questo fronte. Ad aprile 2022, sul sito del ministero dell’Università e della Ricerca, sono stati pubblicati i primi due decreti finanziati con il Pnnr: 7.500 borse di studio.