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I timori dell’Ue sull’Italia per i rischi di ritardi nel Recovery

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BRUXELLES – A Bruxelles non tutte le scelte rispondono alla politica. Il criterio di giudizio o di valutazione è spesso il frutto di una contaminazione tra le esigenze dei responsabili istituzionali e le aspettative della “tecnostruttura”. Perché il gruppo di comando dei funzionari non è mai automaticamente bypassabile. È un centro di potere per certi aspetti autonomo. È l’espressione di una vera e propria autodichia. Che un po’ per pregiudizio e un bel po’ a ragione, tiene puntato il faro sull’Italia.

Questo è anche il risultato dell’ultimo “Pacchetto d’Autunno” della Commissione. In cui una mano approva senza rielievi il Dpb (il Documento programmatico di bilancio) ossia la manovra economica e l’altra lancia un avvertimento. L’Italia deve fare attenzione alla spesa corrente e al debito pubblico. Rilievi noti. Quasi scontati. Eppure inseriti formalmente in quel documento hanno assunto un altro tono. Che da voce proprio a parte della “tecnostruttura” la quale non si fida del nostro Paese. Ne vede le debolezze, ne ha paura e le evidenzia. “L’impatto dell’aumento della spesa pubblica sulla posizione fiscale dell’Italia – si legge – ammonta all’1,5% del Pil. L’Italia ha un elevato debito pubblico e ha ricevuto raccomandazioni per limitare la crescita della spesa pubblica e usare il Pnrr per finanziare gli investimenti aggiunti per la ripresa perseguendo allo stesso tempo una politica fiscale prudente”. Questa frase, appunto, non è stata inserita dagli uffici per puro caso. È un avvertimento.

Recovery, entro dicembre 51 scadenze per incassare altri 24 miliardi

di

Valentina Conte

26 Novembre 2021

Perché? Perché i tecnici di Bruxelles sono allarmati da due nodi cruciali che si stringono intorno al nostro Paese. Il primo riguarda l’architrave del Recovery Fund. L’Italia è l’unico Paese tra i 27 ad aver chiesto l’intero pacchetto di fondi: i “grants” (ossia le sovvenzioni a fondo perduto) e i “loans” (veri e propri prestiti). Nessun degli altri 26 partner lo ha fatto. Nessuno – al momento – ha chiesto un solo euro di “loans”. Lo sta per fare ora la Spagna per una ventina di miliardi finalizzati ad un unico obiettivo specifico. Noi ne abbiamo chiesti oltre 100 miliardi. Che prima o poi vanno restituiti. Questo fa aprire gli occhi di tutte le Direzioni. Anzi, glieli fa spalancare. Ogni firma che autorizza un pagamento è allora verificata e riverificata. Davanti a questa sorta di “tribunale comunitario”, quindi, il nostro Paese sembra non essere uguale agli altri.

Il secondo nodo si allaccia sempre intorno al Pnrr. Ma alla sua esecuzione. A fine anno il governo Draghi chiederà la prima tranche di finanziamento. La Commissione non ha dubbi sul raggiungimento degli obiettivi previsti per questo semestre. E quindi non ha dubbi che tra gennaio e febbraio verranno stanziati i nuovi fondi. Il problema, semmai, può emergere nel primo semestre del 2022. O almeno le attenzioni della stessa “tecnostruttura” si concentrano su quei sei mesi. Perché gli impegni in Parlamento sono tanti. La Road map prevede l’approvazione entro marzo di una parte consistente della riforma fiscale: la Tax Compliance. A giugno poi c’è un imbuto: la presentazione della legge sulla concorrenza, l’approvazione delle legge delega sul pubblico impiego e della legge sulla prevenzione sanitaria, e quindi l’adozione con decreto del provvedimento sul dissesto idrogeologico.

Pnrr, Draghi e il patto di ferro con i sindaci: “Il Recovery è nelle vostre mani”

dal nostro inviato

Roberto Mania

11 Novembre 2021

Ma soprattutto l’allarme riguarda la messa a terra delle opere. La costruzione concreta delle infrastrutture. Se una parte – quella ad esempio assegnata a società come le Ferrovie dello Stato – non desta timori particolari, ce n’è tutta un’altra che ricade sulla responsabilità delle Regioni, che non tranquillizza nessuno. E se le cosiddette “milestones” non vengono raggiunte, le tranche successive vanno perse. Per chi trascorre tutta la sua vita nelle stanze di Palazzo Berlaymont questa eventualità non viene vissuta solo come una sconfitta italiana, ma come una sconfitta dell’Ue. Come un passo indietro rispetto alla decisione – presa con sofferenza dai paesi “frugali” – di condividere una prima forma di debito. Come la rinuncia alla più grande occasione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Nessuno, nei Palazzi europei nega che tutto questo impianto regga, allo stato, perché c’è la gigantesca assicurazione personale offerta da Mario Draghi. Una sorta di “ipoteca a garanzia”. Che assume un valore ulteriore nella fase di transizione che stanno attraversando molti dei Paesi dell’Unione. La Germania sta per dare vita al suo nuovo esecutivo, ma la coalizione semaforo è un esperimento tutto da testare. La Francia sta per entrare in campagna elettorale. In Spagna il governo Sanchez si regge grazie all’astensione di 18 parlamentari. In Romania la squadra è dimissionaria. Per non parlare della recrudescenza del Covid proprio nel cuore dell’Europa: dal Belgio alla Germania. Una situazione delicatissima. La conseguenza è quel faro puntato contro l’Italia.

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