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Il volontariato nell’Italia post Covid: cala il numero delle associazioni ma crescono solidarietà e donazioni. Soprattutto tra i giovanissimi

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“Il volontariato è una straordinaria energia civile che aiuta le comunità ad affrontare le sfide del tempo e le sue difficoltà”. Era il 5 dicembre del 2021 quando Sergio Mattarella parlava così del mondo della solidarietà. La città era Bergamo, prima capitale italiana del volontariato, e diversamente non avrebbe potuto essere: l’epicentro della pandemia era stato scelto come simbolo di una nuova generosità segnata dalle ferite, dalle distanze ma pure dalle nuove necessità del Covid-19. 

Il volontariato trasformato causa Covid

Dopo la stagione di resistenza del Terzo settore ai picconamenti politici della destra, negli ultimi tre anni infatti il volontariato – di tempo, di capacità, di denaro – si è dovuto necessariamente concentrare “sul fronte dell’emergenza sanitaria che ha drenato risorse, lasciando indietro altre cause importanti di cui il non profit si occupa”, ha spiegato il presidente dell’Istituto italiano donazioni Stefano Tabò. Ma quella generosità ne è uscita fiaccata solo in parte, si è trasformata ma mai arresa. Anzi, nell’emergenza più dura, si è fatta diffusa, capillare, tenace. Gli ultimi dati disponibili, in attesa del nuovo censimento Istat in autunno, raccontano di 362.634 istituzioni non profit, 861.919 dipendenti e quasi 7 milioni di volontari. Una fetta importante di loro opera in una o più organizzazioni. Ma secondo Open Cooperazione alcune tra le principali associazioni hanno dovuto fare i conti, tra il 2019 e il 2020, con un calo di persone a disposizione.

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di
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Il 20% delle non profit ha chiuso

Le più piccole si sono ritrovate senza mezzi e senza sede, in molti casi hanno fermato le attività; alcune tra le più grandi, pur restando un forte riferimento, anche ideale, hanno faticato a riorganizzarsi. Tra il 50 e l’80% delle associazioni, raccontano i Centri per i servizi al volontariato (Csv), ha continuato a operare: significa che un altro 20% almeno ha chiuso. Senza contare che buona parte della classe dirigente, perlopiù anziana, è andata perduta, per prolungata indisponibilità o perché vittima del Covid, soprattutto in Nord Italia in cui abitano metà delle organizzazioni non profit.

L’aiuto digitale e la carica dei volontari fai da te

Se qualcosa, al mondo solidale, la pandemia ha lasciato in eredità è però, da un lato, l’affermazione definitiva del volontariato digitale che ha offerto un aiuto concreto seppur a distanza e, dall’altro, l’aumento del volontariato spontaneo, individuale, ma a tempo determinato. Un’onda emotiva che ha portato a darsi da fare nei pacchi spesa, nella distribuzione di cibo, nel trasporto di medicine, nei doposcuola per i ragazzi senza più la scuola, nell’aiuto in strada a chi doveva sì “restare a casa” ma una casa non l’aveva. E ancora, fuori dall’emergenza e dai settori tradizionali del volontariato (cultura e sport attraggono la metà dei cittadini), a impegnarsi a chiamata, sono stati i giovanissimi tra i 14 e i 24 anni per l’ambiente, i diritti civili, la pace.

Il caro bollette e la tempesta perfetta

I numeri della Croce rossa, ad esempio, dimostrano come nella fase acuta della pandemia i cittadini volontari siano stati 10mila in più. Lo stesso vale per la Comunità di Sant’Egidio: mille in aggiunta solo su Roma. Ora la domanda cruciale delle organizzazioni, più o meno grandi, è: come fare a trattenere i volontari “spot”, a formarli, a farli restare agganciati a lungo termine a quel mondo solidale di cui si ha estremamente bisogno e che ha estremamente bisogno di loro? “Sul volontariato si è abbattuta la tempesta perfetta – dice Chiara Tommasini, presidente nazionale Csv – Chi si occupava di attività ricreative ha dovuto chiudere; le associazioni più piccole che non attingono alle agevolazioni hanno risentito del caro bollette; la protezione civile, l’assistenza, le mense e, da ultimo, il sistema dell’accoglienza dall’Ucraina hanno avuto un surplus di attività inimmaginabile. Perfino le donazioni di sangue sono stato colpite dal Covid”.

I donatori hanno dato solo alle “emergenze”

I dati Bva Doxa dicono che anche quando si parla di soldi a crescere è stata la quota dei donatori “emergenziali” che si sono rivolti alle grandi raccolte fondi nazionali invece di passare attraverso le associazioni tradizionali non profit, più piccole ma maggiormente capaci di progettualità, radicamento, impatto sulle comunità. L’ultimo allarme, sul fronte delle casse, era arrivato dalla proposta del senatore leghista Giovanni Rufa di estendere, aumentandone lo stanziamento, il 5 per mille alle forze dell’ordine. Una scelta che avrebbe stravolto l’istituto di sostegno alle attività in favore della collettività. E infatti, tra le proteste, è arrivato il dietrofront.

Nuova normativa fiscale per il terzo settore

Una risposta, attesa da 5 anni e che si temeva traballasse con la caduta del governo Draghi, è arrivata invece dall’approvazione all’unanimità, all’interno del decreto Semplificazioni, della nuova normativa fiscale per il Terzo settore: “un passaggio cruciale – spiega Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore – per consentire a migliaia di realtà sociali del Paese di guardare davanti a sé con maggiore serenità e continuare cosi? a operare per il bene delle persone e lo sviluppo delle comunità. Ci auguriamo che ora si proceda spediti, dopo l’approvazione anche in Senato, verso il via libera dell’Europa: non si può correre il rischio – conclude Pallucchi – di mettere in stand by il mondo della solidarietà o di sottovalutarne il valore”. Quello di cui, in tempi di sfide e difficoltà, parlava Mattarella.

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