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Influenza aviaria, è record di contagi. In alcuni Paesi iniziano a scarseggiare uova e pollame

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E’ un periodaccio, e non solo per gli uomini. Anche i volatili selvatici hanno la loro pandemia: questa volta si tratta di influenza. Il salto del virus dagli uccelli migratori a quelli di allevamento è sempre questione di poco. A essere infettati, di recente, sono stati poi anche animali molto diversi: dai pinguini in Sudafrica agli orsi in Alaska.

Il virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità H5N1 è ormai diffuso in tutto il mondo. Gli Stati Uniti hanno dovuto abbattere 50 milioni fra polli e tacchini infetti, altrettanto è stato fatto in Europa e Gran Bretagna. In Italia per ora i focolai sono limitati, ma il dilagare di un virus non è mai notizia da prendere alla leggera, e l’allerta è al livello massimo.

“Stare in allerta”

“Non ci sono rischi diretti per l’uomo, ma è certo che dobbiamo stare molto attenti” spiega Calogero Terregino, direttore del laboratorio di riferimento europeo per l’influenza aviaria, presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie”. Alcuni contagi hanno riguardato anche gli uomini: una decina fra Africa, Europa e Asia, tutti allevatori esposti al contatto diretto. “Molti non erano nemmeno propriamente contagiati, in nessun caso il patogeno si è trasmesso da uomo a uomo, ma restiamo allerta. I virus dell’influenza corrono (e mutano) rapidamente. Diverse pandemie, fra cui la spagnola, sono nate proprio dall’aviaria”.

Uova e pollame scarseggiano

Le conseguenze più serie per noi sono limitate alla tavola da pranzo: le uova scarseggiano in Gran Bretagna e Francia e gli Stati Uniti festeggeranno un giorno del Ringraziamento senza tacchino (oppure lo pagheranno il 30% in più). Ma per gli allevatori costretti ad abbattere i loro capi o a fermare il commercio, l’aviaria non è uno scherzo. Lo scorso inverno in Italia 307 focolai hanno portato all’uccisione di 15 milioni di capi. Quest’anno siamo a 27 focolai, ma la stagione è iniziata da poco e la situazione dei Paesi vicini non porta all’ottimismo. “Dal punto di vista delle epidemie, siamo tutti sulla stessa barca” conferma Terregino.

Forme sempre più virulente

L’aviaria, fino a una ventina di anni fa, veniva trasportata dagli uccelli selvatici in una forma poco virulenta. Se penetrava negli allevamenti, complici anche le condizioni di sovraffollamento, causava poi focolai di grandi dimensioni. “Dal 2005 circa vediamo invece forme molto virulente anche nei selvatici” spiega il virologo veterinario. “Germani, alzavole e altri tipi di anatre fungono da portatori, non solo all’interno dell’organismo ma anche sul piumaggio. Si tratta di specie resistenti, ma capaci di contagiare altri uccelli più suscettibili. Qui il virus è diventato molto contagioso e letale. Ecco perché quest’estate abbiamo visto le coste dell’Europa del Nord costellate di migratori morti”.

Situazione da monitorare

Tramite i migratori, l’aviaria è riuscita a infettare anche altri animali. “Anche i mammiferi, in particolare i carnivori” spiega Terregino. “Volpi, orsi, poi animali marini come le foche e i delfini. Anche in questo caso il contagio avviene solo per contatto diretto con un uccello infetto. Non abbiamo osservato casi di trasmissione da un mammifero all’altro”. E’ decisamente troppo presto per essere preoccupati. “Ma teniamo sotto controllo la situazione” dice il veterinario. “Non è un caso che il nuovo piano anti-pandemico ponga tanta enfasi sul monitoraggio delle epidemie nel mondo animale”.

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