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Ius Scholae, la cittadinanza ai figli dei migranti spaventa la destra

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Non ha niente a che vedere con l’immigrazione e la sicurezza, tuttavia la legge per dare la cittadinanza ai ragazzi figli di immigrati, che però siano nati o cresciuti in Italia, viene considerata dal centrodestra un capitolo del dossier migranti. In particolare Matteo Salvini e Giorgia Meloni ne fanno una questione di identità nazionale e, appunto, di sicurezza. E sono contrari a concedere a circa 800mila ragazzini stranieri – questa è la stima di chi ne avrebbe diritto – la cittadinanza italiana. Lo ius scholae è la versione light della riforma della cittadinanza: un bambino straniero ha diritto a diventare cittadino italiano solo dopo avere frequentato 5 anni di scuola e se è entrato nel nostro Paese prima di avere compiuto 12 anni. 

Oggi si è cittadini italiani per discendenza (ius sanguinis), e l’ipotesi di modifica della cittadinanza prevedendo lo ius soli (sono italiani i bimbi nati in Italia) è stata archiviata. Lo stesso leader dei 5Stelle, Giuseppe Conte la considera “sbagliata, anche perché l’Italia è un Paese di transito”, mentre rivendica la soluzione dello ius scholae. Il Pd ne fa un punto di principio. Ha detto il segretario dem Enrico Letta: “Se mi chiedessero la cosa di cui mi sono vergognato di più come parlamentare è che avevamo promesso a centinaia di migliaia di ragazzi italianissimi dentro che lo sarebbero stati anche di passaporto”.

Il dem Matteo Mauri ricorda: “In questa legislatura le abbiamo provate tutte, ma l’ostruzionismo della destra e la fine anticipata della legislatura l’hanno reso impossibile”. I leghisti in Parlamento hanno presentato emendamenti-beffa pur di rallentarne l’iter, tipo superare esami sulle sagre, sui costumi degli antichi romani e essere promossi sempre con il massimo dei voti. Da vent’anni si parla di riforma della cittadinanza, ci sono state mobilitazioni a partire da quella della Comunità di Sant’Egidio, finite in un nulla di fatto.

Il partito democratico: una priorità del programma dopo il ko in aula

È una delle priorità del programma del Pd: è indispensabile riformare la cittadinanza. Uno dei manifesti della campagna elettorale dem dice: “Chi studia in Italia è italiano. Ius scholae per i bambini che vanno a scuola con i nostri figli”. Il segretario Enrico Letta e tutto il partito, con l’ex sottosegretario all’Interno Matteo Mauri in testa, hanno condotto una battaglia fino all’ultimo miglio della legislatura. Consentire che i ragazzi figli di immigrati ma nati e cresciuti in Italia siano italiani di diritto, e non solo di fatto, poiché in Italia vige lo ius sanguinis (si è italiani per discendenza), è una legge attesa da vent’anni, più volte arrivata a un passo dall’approvazione, è sempre finita nel nulla. Il Pd puntava sullo ius soli (se nasci in Italia da genitori stranieri con permesso di lungo soggiorno, sei italiano), lo ius scholae è la versione light. 

Un cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle 

L’ultima versione della legge sulla cittadinanza è stata scritta da Giuseppe Brescia. Grillino, presidente della commissione Affari costituzionali, la versione di Brescia di riforma della cittadinanza è diventata un cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle. Brescia era riuscito in commissione a contingentare i tempi, facendo così argine all’ostruzionismo delle destre che avevano presentato 700 emendamenti, lievitati a 1.500 per l’aula. Vittoria Baldino, deputata pentastellata, ricorda: “Lo ius scholae è stato il punto di mediazione per avere il consenso di una parte del centrodestra. Tuttavia Salvini e Meloni avevano minacciato di fare cadere il governo Draghi sulla cittadinanza. Il rammarico è che un milione di ragazzi sono stati illusi. Ma ripartiremo da qui nella prossima legislatura, è certo”. 

L’ok di Calenda anche alla riforma della Bossi-Fini

Calenda, va tenuta ferma la distinzione tra sicurezza e immigrazione da un lato e integrazione dall’altro. Quindi, ribadisce Calenda, “lo ius scholae è normale. Dobbiamo tenere altissima la guardia sui flussi incontrollati e avere una immigrazione regolare che rispetti le norme e va aiutata a integrarsi”. Quindi d’accordo su interventi di carattere civile come lo ius scholae, poiché se un bambino arriva in Italia, frequenta la scuola italiana, diventa italiano “perché è a scuola che si forma il cittadino ed è normale che abbia la sua cittadinanza”. Con Emma Bonino e +Europa, prima che la federazione tra i due partiti si sciogliesse, c’era anche il progetto di rivedere la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, sulla base delle richieste della rete di associazioni “Ero straniero”, ma anche aumentando i flussi regolari secondo le esigenze di lavoro stagionale. 

Il no assoluto dei leghisti e il “nì” di Meloni

Lo ius scholae era stata una delle parole d’ordine di Giorgia Meloni, quando fu ministra della Gioventù. Ma la cittadinanza italiana per Fratelli d’Italia è da concedersi al compimento dei 18 e ai ragazzi figli di immigrati che abbiano compiuto l’intero ciclo di studi nel nostro Paese, quindi 10 o 8 anni. La cittadinanza è questione di identità nazionale. Per la Lega di Matteo Salvini non se ne parla. Durante il dibattito sul testo-base in commissione Affari costituzionali, il leghista Igor Iezzi ha rimarcato il rischio che la cittadinanza ai figli renderebbe quasi obbligatoria, come conseguenza, quella ai padri e anche più insicuro il Paese. Salvini ha attaccato: “La sinistra aveva previsto di dare la cittadinanza anche ai minorenni con precedenti penali. Ecco, la cittadinanza in omaggio a tutti i delinquenti”. 

Forza Italia: sì alla legge ma solo se dopo 8 anni di scuola

A trascinare Forza Italia verso una posizione “aperturista” sullo ius scholae è stata Renata Polverini. L’ex sindacalista dell’Ugl e deputata forzista ha presentato un proposta di legge che ricalca in molti punti il testo che era in discussione nell’aula della Camera, sostenuto da Pd, M5Stelle, renziani e sinistra. Tra divisioni e distinguo, alla fine la posizione del partito di Berlusconi è stata: sì allo ius scholae, però se il ciclo di studi da compiere per i ragazzi stranieri è di 8 anni, ovvero tutta la scuola dell’obbligo, e non di cinque come scritto nel testo all’esame. Polverini, con un gruppetto di laici forzisti, ha marcato la differenza dichiarando che lo ius scholae l’avrebbe votato comunque. Ma la tattica del rinvio e dell’ostruzionismo, inaugurata dalla Lega, ha avuto la meglio. 

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