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In questo momento 12,7 milioni di persone attendono un trapianto di cornea nel mondo. Solo una su 70 però sarà soddisfatta. Per ovviare alla carenza si tentano varie strade, dalle cornee artificiali al trapianto di cellule staminali. In Svezia un gruppo di ricercatori dell’università di Linköping e dell’azienda LinkoCare Life Sciences ha costruito una cornea partendo dal collagene del maiale. Il collagene è una semplice proteina, può essere purificato, ripulito da tutte le cellule di origine animale e da eventuali virus, rafforzato con il laser per diventare più rigido ed elastico.
Questa cornea è poi stata impiantata a 20 persone, 12 in Iran e 8 in India, paesi in cui la presenza di malattie agli occhi è molto alta, ma i trapianti rari (e le regole sulle sperimentazioni meno rigide). A due anni dall’intervento in 19 hanno migliorato la vista. Tutti e 14 i volontari classificati come legalmente ciechi sono tornati a vedere: tre in particolare hanno recuperato 10/10. I risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Nature Biotechnology.
La cornea è la superficie più esterna dell’occhio, una lente trasparente a forma di cupola. “La sua curvatura deve essere perfetta per vedere bene, come la sua trasparenza” spiega Matteo Piovella, presidente della Società di oftalmologia italiana. “Un tempo era comune il trapianto di cornea intera, cosiddetta a tutto spessore, che era molto impegnativo. I punti andavano tenuti per due anni per il forte rischio di astigmatismo dopo l’intervento. Di recente abbiamo imparato a sostituire solo un foglietto posteriore sottile, l’endotelio, semplificando molto l’operazione. L’ultima novità consiste nell’uso delle cellule staminali, già diffuso in Canada, ma che in due anni dovrebbe partire anche negli Stati Uniti e poi arrivare in Europa”.
Le staminali sono le cosiddette “cellule bambine”, capaci di moltiplicarsi in modo molto rapido. Vengono prese da vari tessuti, coltivate in laboratorio e trasformate in endotelio, il tessuto posteriore della cornea. “La tecnica è molto promettente” prosegue Piovella. “Nel giro di qualche anno permetterà di curare il 95% delle malattie che oggi richiedono un trapianto”. L’occhio dei ricercatori svedesi, iraniani e indiani è rivolto però a quei paesi in cui una malattia non viene diagnosticata in tempo.