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Una storia che ha ancora troppe domande a cui dare risposta. È quella della morte di Simone Mattarelli, il 28enne trovato impiccato a un macchinario della ditta Eurovetro di Origgio in provincia di Varese nel pomeriggio del 3 gennaio 2021. Un suicidio secondo la procura e il gip di Busto Arsizio, ben altro per i familiari che da tempo chiedono un approfondimento di indagini su quella notte, cominciata con un inseguimento dei carabinieri sulle statali della Brianza per fermare la Bmw guidata da Mattarelli che si era dato alla fuga dopo aver saltato l’alt dei militari. Oggi, tramite l’avvocato Roberta Minotti e con la consulenza della criminologa Roberta Bruzzone, la madre, il padre e il fratello chiedono che venga riesumata la salma del giovane e che vengano fatte nuove indagini.
“Simone Mattarelli non si è suicidato e prima di morire ha subito una aggressione ad opera di terzi, aggressione parzialmente osteggiata dalla stessa vittima”. Con queste parole, messe anche nero su bianco nella richiesta di opposizione all’archiviazione e nell’istanza di riapertura delle indagini, l’avvocato Minotti intende ribaltare le conclusioni della pm Susanna Molteni e della gip Tiziana Landoni.
La morte di Simone Mattarelli, la fuga dai carabinieri, la cocaina e il coprifuoco
La ricostruzione della notte tra il 2 e il 3 gennaio parte dalle 23.05 della sera, alla rotatoria sulla Statale dei Giovi all’altezza di Cermenate. È qui che Simone comincia la sua fuga. Ha assunto cocaina, in macchina ci sono delle dosi e una banconota da dieci euro arrotolata. Inoltre si trova in strada fuori dagli orari concessi dal coprifuoco. “Simone non era paranoico ma ben consapevole di avere violato più di una regola – prosegue l’avvocata – temeva il ritiro della patente avendolo già subito nel 2017 per essere stato sorpreso alla guida dell’auto con un tasso alcolemico elevato”.
La famiglia di Simone Mattarelli con l’avvocata Roberta Minotti e la criminologa Roberta Bruzzone
La telefonata di Simone Mattarelli al padre: “L’ho fatta grossa, se mi prendono mi ammazzano”
Cimnago, Cogliate, Barlassina, Gerenzano, Uboldo. Una corsa a rotta di collo per i comuni della Brianza, cercando di sfuggire all’inseguimento. Va avanti per ore e almeno sei pattuglie dei carabinieri si mettono dietro a Mattarelli. “L’ho fatta grossa papà, se mi prendono mi ammazzano” dice al padre, Luca Mattarelli, al telefono durante l’inseguimento. Gli dice che arriverà lì da lui, ma a casa non tornerà mai. L’inseguimento in auto finisce alle 2.36 del mattino, al Parco dei Mughetti di Origgio, vicino alla Eurovetro. Prosegue a piedi come documentato dalla bodycam di uno dei carabinieri, attivata nelle ultime fasi dell’inseguimento e spenta poco dopo l’inizio delle ricerche nei campi. In tutto sono 14 i militari presenti sul posto secondo la ricostruzione della difesa. Uno di loro spara 8 colpi di pistola a terra, esplosioni che anche il padre sente al telefono. Le carte ufficiali dicono che dopo poco i militari interrompono le ricerche perché non riescono a trovare il fuggitivo: è da questo punto in poi che si accumulano i dubbi della difesa.
Il padre di Simone nel frattempo si mette è messo a cercarlo. Segue la posizione che il figlio gli aveva mandato su WhatsApp. Sulla strada incontra una pattuglia dei carabinieri che lo indirizza alla caserma di Desio dove Luca Mattarelli pensa di trovare il figlio: c’è invece solo la sua macchina. Alle prime ore del mattino il padre insieme al fratello di Simone e allo zio vanno quindi a perlustrare i pressi della Eurovetro, laddove si era fermata la macchina e dove indicava la posizione condivisa sul telefono. Trovano le sue scarpe ai bordi della recinzione. Là in zona ci sono già diversi carabinieri che, viene spiegato, sono alla ricerca dei bossoli. Il padre si rivolge a loro chiedendo di entrare a cercare in quel preciso stabilimento, il C2, ma non viene ascoltato. Allora scavalca la ringhiera ed entra nello stabilimento: a quel punto i carabinieri entrano a loro volta ed è così che viene ritrovato il corpo del giovane impiccato.
La morte di Simone Mattarelli, che cosa dice la perizia
Per il gip la perizia porta a identificare senza dubbi la causa del decesso, ovvero “una asfissia acuta meccanica da ricondurre a un atto di autolesionismo da lui posto in essere”. Ma i legali della famiglia lamentano una serie di mancanze nelle indagini e nella perizia che insieme a “errori grossolani” hanno impedito “la registrazione di cruciali elementi”. Secondo i periti di parte, ad esempio, non è stato delimitato correttamente il luogo del ritrovamento del corpo e non sono state prese in considerazione due ferite al volto e un’emorragia addominale compatibili con una “dinamica di aggressione premortale”. Ma per il giudice le ferite sul corpo sono da ricondurre a momenti della fuga, “non a eventuali azioni offensive perpetrate da terzi in danno del giovane, né ad atti difensivi da costui posti in essere”, si legge nel decreto di archiviazione.
Tutti i dubbi della famiglia sulla morte di Simone Mattarelli
Dubbi poi anche sulla posizione del corpo e sul nodo della cintura dei propri pantaloni con cui Simone si sarebbe impiccato: un nodo semplice, ritrovato in posizione anteriore e quindi difficilmente in grado di reggere il peso del corpo. Sulla cintura, da un’analisi della difesa, non ci sono tracce di sangue che invece è sulle mani di Simone e sul volto. A tutto questo si aggiunge il mancato recupero delle immagini registrate dalle telecamere che danno sull’ingresso della vetreria e il mancato ascolto dei testimoni, come i dipendenti della Eurovetro o i vigilanti. Cellulare e giubbotto del giovane, poi, sono scomparsi. “Simone era un ragazzo pieno di vita, positivo e propositivo. – spiega Minotti – . Aveva un buon lavoro e a breve avrebbe coronato il suo sogno di andare a vivere con la sua ragazza. Non si sarebbe mai suicidato”.