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Lamezia Terme, manganellato medico del pronto soccorso: “Se non mi spostavo, finivo male”

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“Se non me ne fossi accorto e non mi fossi spostato, non so dove sarei adesso”. Sono passate più di dodici ore dall’aggressione subita lunedì al pronto soccorso di Lamezia Terme, ma il dottore Rosarino Procopio, che quel reparto lo regge da primario non riesce a capacitarsi. “Ci sono state aggressioni verbali, qualche parente ha devastato la sala d’attesa, ma una cosa del genere mai”.

La “cosa del genere” è di fatto un’aggressione premeditata, con il parente di una paziente che si è avventato sul dottore tentando di colpirlo con un manganello. “Mi ha preso alla spalla, sono scappato, se mi avesse colpito in testa, non so…”. L’uomo è stato arrestato dalla polizia per lesioni aggravate e porto di oggetti atti a offendere.

L’aggressione in reparto

Riavvolgiamo il nastro. Sono le 20 circa, i parenti di una paziente in osservazione da ventiquattro ore vengono contattati perché l’anziana stava per essere dimessa. Le erano stati fatti tutti gli esami necessari, era rimasta in osservazione in Obi per ventiquattro ore, non c’era alcuna necessità clinica che imponesse il prolungamento del ricovero. Dei familiari, si presentano in tre, che chiedono di parlare con il medico, che prova a spiegare la situazione, ma uno di loro va subito in escandescenze.

Inizia a urlare, a inveire contro i medici, a minacciarli. Il dottore Procopio capisce che non ci sono margini per un’interlocuzione civile e rimanendo lì rischia solo di far salire la tensione, quindi si volta per tornare nella sua stanza. È in quel momento che l’uomo – una vecchia conoscenza delle forze di polizia di zona – tira fuori un manganello da sotto il giubbotto e prova a colpirlo.

Posto di polizia coperto solo di giorno e per un turno

Il medico fa appena il tempo a spostarsi, lo sfollagente lo centra alla spalla, ma comunque non gli impedisce di scappare e chiedere aiuto. Proprio in quel momento, in pronto soccorso stava arrivando un pattuglia per scortare un paziente. “Sono intervenuti subito per contenerlo, perché le guardie giurate poco avrebbero potuto fare. Non hanno il permesso di bloccare fisicamente qualcuno”, racconta. E il posto di polizia, che in ospedale c’è, funziona solo di giorno con un unico agente che da solo deve rispondere alle necessità di tutto l’ospedale.

Su quanto successo, l’indagine è aperta ed è in corso, l’aggressore è stato identificato, mentre con il medico si è schierata l’Azienda sanitaria che assicura assistenza legale e annuncia di volersi costituire parte civile nel futuro processo. Il dottore fra qualche giorno tornerà a lavorare. “Come non lo so – dice – in oltre quarant’anni di emergenza urgenza ho affrontato molte situazioni difficili, ma cose del genere mai. È fisiologico e comprensibile che un paziente che ha dolore, o un parente angosciato alzi i toni, sono momenti di tensione che abbiamo imparato a gestire”.

Pronto soccorso adesso anche stratagemma per saltare le liste d’attesa

I reparti sono saturi, i medici pochi, gli aspiranti tali scappano dall’emergenza urgenza “e ancora non si riesce a trovare lo strumento per invogliarli a scegliere questa specializzazione. Ma a parità di condizioni economiche è chiaro che si sceglierà sempre un reparto meno complicato, con un carico di lavoro meno gravoso e minori rischi”, osserva il dottore. In più, al problema annoso dell’inesistente medicina territoriale che scarica sugli ospedali le esigenze di salute di un’utenza enorme, da tempo si è aggiunto un nuovo fenomeno: usare i pronto soccorso per tentare di strappare un esame o una visita specialistica aggirando le infinite liste d’attesa.

“Il nuovo reato, deterrente per pochi”

“Quello che è successo ieri – spiega il dottore Procopio – va oltre tutto questo”. E poco o nulla potrà incidere la nuova norma che ha inasprito le pene in caso di aggressioni ai sanitari o vandalizzazioni di strutture. “Per le persone per bene può essere un deterrente, per i delinquenti penso proprio di no”, commenta laconico Rosarino Procopio.

Dall’Azienda sanitaria provinciale nel frattempo arriva la richiesta di “una risposta forte da parte delle autorità competenti, perché questi fenomeni danneggiano, oltre al personale sanitario, anche tutta l’utenza. In questo caso – conclude l’Asp – non sono neanche invocabili possibili giustificazioni come la tensione emotiva. Non è tollerabile che si entri in un ospedale con un manganello per imporre con la forza e la violenza un abuso”.

 

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