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Lega, diktat di Salvini: “Decido io”. Un mese di tregua con Giorgetti

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ROMA – Cinquanta minuti per dire basta “a chi mette in discussione la linea e la visione della Lega”. Un intervento duro, accorato, in apertura dell’appuntamento più delicato da quando Matteo Salvini guida il partito. Il segretario lo affronta guardando negli occhi il suo rivale interno, Giancarlo Giorgetti, che ne ha criticato la linea ondivaga soprattutto sull’Europa e che ne ha sfregiato l’immagine paragonandolo a Bud Spencer, a una star di film popolari e non certo da Oscar.

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La sua rivincita, il numero uno del Carroccio, se la prende in questo consiglio federale che si protrae sino a tarda ora, in cui viene votata all’unanimità la condivisione della linea del segretario e Giorgetti con gli altri esprime “totale fiducia” nel leader. Così fa sapere il partito. E il ministro non smentisce. Anzi, alla fine dirama una nota per dire che “la Lega è una, è la casa di tutti noi e Salvini nè è il segretario. Saprà fare sintesi”.

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Questo round lo vince il Capitano, in una Sala Salvadori blindata che lo vede ribadire che la direzione di marcia la indica lui: taglio delle tasse e lavoro, una manovra “alla quale stare molto attenti”, fino al neogruppo sovranista da costruire in Europa. E su questo punto insiste, come risposta alla dichiarata propensione di Giorgetti per il Ppe: “Il Partito popolare non è mai stato così debole, è impensabile entrarvi anche perché è subalterno alla sinistra. E noi siamo alternativi alla sinistra”.

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di

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03 Novembre 2021

E via con l’annuncio – ribadito – della prossima nascita di un gruppo dei sovranisti al parlamento europeo, che Salvini chiama “identitario e conservatore”. Scene e parole sembrano studiate: “Non inseguiamo la sinistra – sibila ancora il segretario – perché così facendo perdiamo…”. E sembra quasi riferirsi ai buoni uffici del ministro con i compagni di governo che vengono dall’esperienza giallorossa. E magari alla cena dell’altra sera, a Roma, fra Giorgetti e Di Maio, nella quale si sarebbe parlato a lungo del Quirinale, con una sintonia che ha i contorni di un patto: Mattarella-bis (la soluzione di certo gradita a Di Maio) o un trasloco di Draghi sul Colle (che piace di più al leghista).

Podcast – La giornata – Cosa c’è da sapere

Il diktat di Salvini

di Giulia Santerinii

Salvini non ha gradito i boatos di quell’incontro in pizzeria ed è uno dei motivi per cui ha chiesto e ottenuto la prova di forza del consiglio federale. Che ha il suo acme quando scandisce: “La visione della Lega è vincente, ne sono convinto”. Applausi, condivisione. Ma la partita non è chiusa. Giorgetti si scusa per la forma che i suoi rilievi hanno assunto nel libro di Vespa (in primis il paragone del segretario con il bullo dei western) ma chiarisce di aver espresso idee già manifestate altre volte, sull’esigenza che la Lega sia moderata ed europeista.Va oltre: “Temo che possiamo restare isolati come la destra francese”, avverte. Il tutto, però, subordinato a un sostegno che qualcuno reputa di maniera: “Totale fiducia è un po’ come stai sereno”, ironizza sui social Gianluca Pini, deputato del Carroccio per tre legislature.

A luna già alta, è l’idea di un dissenso congelato, di malumori soffocati, di crepe sanate, quella che viene trasmessa dal summit degli ex lumbard. L’ortodossia salviniana prevale sul governismo spinto, almeno per ora.

È una tregua, di certo, destinata a durare almeno un mese: fino a quando nell’assemblea programmatica prevista per l’11 e 12 dicembre non si tireranno le fila sul futuro del partito. Perché il leader della Lega una concessione a quanti gli chiedono maggiore democrazia interna la fa: e il “congresso delle idee”, se non renderà contendibile la carica di un segretario che gode di consenso interno, sarà comunque un’occasione per “sancire, aggiornare e decidere – promette Salvini – i binari su cui viaggiamo”. E nel frattempo, dal primo dicembre, comincerà finalmente la fase delle elezioni dei responsabili locali, una svolta per un partito che attualmente è commissariato a tutti i livelli. Piccole aperture.

Salvini non è Bud Spencer ma neppure vuole apparire come un condottiero solitario. E tiene a distinguere la Lega dai compagni di viaggio del governo Draghi: “Stiamo affrontando questo periodo di governo di unità nazionale per superare la pandemia, il futuro che abbiamo in testa è un governo liberale di centrodestra”. Sottinteso: l’orizzonte è il voto per il Colle, poi si vedrà.

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