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“L’Etna è come la Luna”. I robot spaziali a spasso sulla sabbia del vulcano

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PIAN DEL LAGO – Dalla navicella spaziale muove i primi passi sulla polvere scura, scivolando un po’. Ruota la testa a destra e sinistra, vede un ostacolo e gli gira intorno. Quella pietra sembra bella. La raccoglie per portarla a casa, come un bambino con un sasso colorato. Il suo compagno, qualche metro più avanti, sta già piazzando le antenne che permetteranno di comunicare anche sul lato nascosto della Luna, dove la Terra non può inviare né ricevere segnali e dove si è completamente soli nello spazio. I due si scambiano un cenno da lontano: sta andando tutto bene, possiamo andare avanti.

L’imprevisto

«Per fortuna oggi c’è vento. Non ci sono le coccinelle che si poggiano sulle telecamere. Quante volte, come le farfalle, ci hanno costretto a interrompere la simulazione dei robot». Sbuffa, ma è divertito, l’ingegner Alin Albu-Schaeffer, direttore dell’Istituto di robotica e meccatronica dell’Agenzia spaziale tedesca, Dlr. Sa che quello è l’unico imprevisto che non potrà mai capitare ai suoi rover — o robot con le ruote — una volta che andranno sulla Luna.

La scelta del vulcano

Oggi infatti si trovano ancora sull’Etna. Stanno simulando la loro futura missione spaziale a Pian del Lago, 2.500 metri, proprio sotto lo sbuffo del cratere di sud-est. «La sabbia del vulcano ha una composizione uguale a quella della Luna, che si chiama regolite», spiega Salvo Caffo, vulcanologo del Parco dell’Etna.

Questo è il luogo che Dlr ha scelto per provare l’atterraggio di una sonda sulla Luna e la discesa sul suolo di due rover, o robot con le ruote, capaci di muoversi senza ordini impartiti dall’uomo. Un terzo robot, più simile a un serpente, si avventurerà lungo i pendii scoscesi, forse anche nei tunnel di lava scoperti, non da molto, sulla Luna.

Il rover Scout, adatto ai terreni scoscesi. Foto Dlr 

Il robot telecomandato

Alla flotta si è aggiunto un quarto rover, costruito dall’Agenzia spaziale europea (Esa). È il doppio rispetto ai compagni tedeschi, che si aggirano sul metro di altezza e i 30 chili di peso, e potrà essere guidato da Terra.

Se ne occupa per ora, durante i test, l’ex astronauta dell’Esa, il tedesco Thomas Reiter, che sembra alle prese con un enorme giocattolo col telecomando ed è concentratissimo. Oltre al joystick, usa a tratti una sorta di esoscheletro che si applica al braccio e trasmette i movimenti al rover.

L’astronauta Thomas Reiter telecomanda il rover dell’Esa. Foto Dlr 

«Abbiamo grandi progetti per la Luna», spiega Reiter in una pausa. «Quando torneremo, non sarà solo per fare una foto. Stavolta resteremo e sull’Etna ci troviamo in un ambiente perfetto per testare gli strumenti». Poi ricorda: «Avevo 11 anni quando Armstrong e Aldrin scesero sulla Luna. Quando ci ripenso ho ancora la pelle d’oca».

Il ritorno in grande stile

Una frase storica da pronunciare allo sbarco l’Esa ancora non l’ha preparata, ma Reiter prova a improvvisare: «Gli europei, una volta esploratori, per sempre esploratori».

Stavolta però, prima degli uomini, potrebbero essere i rover con gli occhi (uno di loro ha anche una mano, sempre per raccogliere le rocce che lo incuriosiscono) a scendere dalla navicella spaziale e muovere i primi passi sulla regolite scura.

All’appuntamento non manca molto: si parla di 2024, massimo 2025. La pandemia e la carenza di microchip hanno rallentato il progetto. Ma al netto delle coccinelle e dei turisti dell’Etna in pantaloncini, che pensano si tratti di un set cinematografico, alla missione, sia Dlr che Esa, sembrano già ben preparate.

«Gli americani della Nasa sono molto più avanti, nel campo dei rover, ma l’idea di far collaborare i vari robot è un nostro punto di forza» spiega Albu-Schaeffer. «Dopo la Luna, potremmo usarli su Marte o su uno dei suoi satelliti».

Quando i rover si danno una mano

A spiegare perché collaborare è importante, anche fra robot, è André Prince, giovane ingegnere meccatronico di Dlr, che corre da un punto all’altro della Luna sull’Etna (l’area usata per la simulazione è di 500 metri quadrati) con un mazzo di chiavi inglesi.

Stringe bulloni delle ruote e cambia batterie. Nel frattempo, spiega: «I due rover si scambiano continuamente informazioni. Uno è specializzato nel disegnare mappe nel terreno, l’altro nel raccogliere campioni. Se il primo vede qualcosa di interessante, chiama l’altro per prelevare una roccia. Se invece si accorge di un ostacolo, avverte il compagno e gli indica la strada per evitarlo».

Non a caso il progetto è stato battezzato Arches: Autonomous Robotic Networks to Help Modern Societies. Dopo essere stati testati su Etna e Luna, i robot potranno aiutare la nostra società, ed essere usati in compiti più mondani come disinnescare ordigni o fare la raccolta differenziata dei rifiuti. Dalle stelle alle stalle, ma il loro lavoro sarà molto apprezzato anche così.

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