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È diventata famosa con “Uomini e donne”, otto anni fa, conquistando un milione di follower su Instagram, a cui la ventottenne bolognese Valentina Dallari oggi parla anche di anoressia. Ne ha sofferto proprio dopo l’inatteso successo che l’ha portata a sottoporsi a una dieta da fame, fino ad arrivare a pesare, in quattro anni, solo 37 chili. Una volta guarita lo ha raccontato in due libri, “Non mi sono mai piaciuta” e “Uroboro – Viaggio eterno nelle crepe dell’anima”, entrambi usciti per Piemme. Oggi che è un dj affermata, ha deciso di portare la sua storia nelle scuole.
Quando ha scoperto di soffrire di disturbi dell’alimentazione?“Sei mesi dopo essere stata ricoverata. È stata mia sorella a comprendere la gravità della situazione. Io all’epoca vivevo a Rimini, non mi rendevo conto di non stare bene. L’anoressia porta con sé il disturbo della dismorfofobia: ti guardi allo specchio ma hai una percezione errata. Ho accettato di entrare alla Residenza Gruber, altra struttura creata in città da Seragnoli, in via Siepelunga, per chi soffre di disturbi alimentari per la mia famiglia. Sono rimasta dentro quasi un anno, non sarei qui a raccontarlo altrimenti”.
Come è stato il percorso di guarigione?“È un luogo in cui dal custode allo psichiatra, dal nutrizionista al medico, tutti si prendono cura di te nel modo giusto. L’approccio al paziente è fondamentale, io nonostante abbia deciso di restare, ci ho messo sei mesi per rendermi conto del problema. È accaduto un giorno, mentre parlavo di cibo con lo psichiatra, per la prima volta, ho intuito che qualcosa non andava. Qualche giorno dopo, ero a tavola, stavo mangiando e mi sono accortache mi tremavano le mani. È stato un percorso buio, faticoso. L’aiuto è arrivato anche dagli altri pazienti. Nascono amicizie profonde”.
Lei ha capito chi era il suo nemico?“Fragilità, rabbia e paura che trovano sempre nuove forme, rinascono ogni volta. Proprio come l’uroboro, il serpente che nellaletteratura si morde la coda, simbolo di eterno ritorno: una fine che non è altro che un inizio”.
Come mai ha deciso di condividere la sua storia?“Le ragioni sono tante. Perché è un tabù e difficilmente chi ne ha sofferto ne parla in prima persona.Perché quando ho iniziato a espormi sui social mi hanno scritto cose tremende. Frasi particolarmente pericolose per chi sta male. Così una volta fuori, anche se poi fuori non si è mai veramente, ho iniziato a condividere la mia esperienza, in tanti hanno iniziato a scrivermi, messaggi privati, privatissimi.Almeno un messaggio al giorno di chi cerca aiuto, cerco di indirizzare nei posti giusti. Di evitare ad altri le mie stesse sofferenze”.
Ora ha iniziato a portare la sua esperienza nelle scuole.“Ho conosciuto Animenta, organizzazione no profit molto attiva tra i giovani, che ha come focus l’accettazione e tutto quello che ruota intorno ai disordini alimentari. Prima non mi sentivo ancora pronta per andare nelle scuole, è qualcosa che è arrivata con il tempo e la consapevolezza”.
Cosa racconta agli studenti?“Che può succedere a chiunque, maschi e femmine, che non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto. In tanti alla fine mi avvicinano, mi ringraziano, contattano l’associazione”.