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L’Italia aiuta poco le madri: nel rapporto di Save the Children, il Paese della denatalità record spaccato in due

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Nascono pochi bambini in Italia. E l’apporto alla natalità è ormai scarso anche da parte delle coppie che vengono dall’estero. Tanto da proiettare il Paese in un futuro a rischio. Con il peso sulle spalle soprattutto delle donne e delle madri. E la classifica delle Regioni vede ancora una volta l’Italia spaccata in due: con il Nord più amico delle donne-madri e il Sud in cronico ritardo.

La denuncia, ulteriore, arriva dal rapporto per il 2023 “Le equilibriste” di Save the Children, l’organizzazione che da oltre un secolo lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro. Dopo quello del 2022, il nuovo dossier è stato diffuso a metà settimana in vista della Festa della mamma di domenica 14 maggio. E traccia un bilancio aggiornato delle molte sfide che le donne in Italia devono affrontare quando diventano mamme.

Giunto all’ottava edizione, lo studio include anche l’Indice delle Madri, elaborato dall’Istat per Save the Children, una classifica delle Regioni italiane stilata in base alle condizioni più o meno favorevoli per le mamme.

Il 2022, record negativo

L’anno passato ha sancito il minimo storico delle nascite in Italia: -1,9% per 392.598 registrazioni all’anagrafe. La contrazione della natalità accompagna l’Italia da decenni ma ormai coinvolge anche la componente straniera della popolazione. Le donne hanno meno figli o non ne hanno affatto: i primi figli nati nel 2021 sono il 34,5% in meno di quelli che nascevano nel 2008, con una contrazione anche del numero di figli nati da entrambi i genitori stranieri, che si è fermato a quota 56.926 nel 2021 (era 79.894 nel 2012).

In Italia la platea di donne in età fertile è diminuita nei decenni e si diventa madri sempre più tardi: l’età media al parto è di circa 32 anni una delle più alte in Europa, e già nel 2019 l’8,9% dei primi parti riguardava madri ultraquarantenni. Il 12,1% delle famiglie con minori in Italia (762mila nuclei) sono in condizione di povertà assoluta, e una coppia con figli su 4 è a rischio povertà.

Se il rinvio della maternità e la bassa fecondità sono frutto di numerose concause, c’è una relazione diretta e positiva tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità. Il mercato del lavoro sconta ancora un gap di genere fortissimo. Nel 2022, pur segnando una leggera decrescita, il divario lavorativo tra uomini e donne si è attestato al 17,5%, ma è ben più ampio in presenza di bambini: nella fascia di età 25-54 anni  se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali.

La graduatoria regionale

Tra le regioni più amiche per le mamme svetta la Provincia autonoma di Bolzano, seguita da Emilia Romagna e Valle D’Aosta, mentre le condizioni più sfavorevoli si registrano in Basilicata, preceduta appena in fondo alla classifica da Sicilia e Campania. Le prime tre superano di 10 punti il valore di riferimento nazionale di 100, seguite da Toscana, Provincia Autonoma di Trento, Umbria, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia, che invece lo superano di poco. Fanalino di coda Basilicata, Campania, Sicilia, Calabria e Puglia che sono sotto il valore di riferimento di almeno 10 punti.

Partendo dal lavoro…

Nella dimensione del lavoro primeggia l’Emilia-Romagna, il Piemonte, la Valle d’Aosta e la Lombardia: regioni dove, per le madri è più facile trovare un impiego, non subire riduzioni di orario non volontarie o tenere un lavoro dopo la nascita di un figlio. Di contro, Sicilia, Basilicata, Calabria e Campania non forniscono dati incoraggianti sull’occupazione delle mamme.

… passando per politica

Nell’area della rappresentanza, relativa alla percentuale di donne in organi politici a livello locale per regione, Umbria, Veneto, Toscana, Emilia-Romagna occupano i primi posti. In Basilicata, Valle d’Aosta, Sardegna e Puglia la rappresentanza femminile è ben al di sotto del valore di riferimento nazionale.

E fino al campo della salute

Nell’area salute, spicca la Valle d’Aosta con ben 40 punti in più valore di riferimento nazionale, la Provincia Autonoma di Bolzano, l’Emilia-Romagna e la Toscana, mentre Calabria e Campania si posizionano agli ultimi posti con valori al di ben sotto di quello di riferimento. Le Province Autonome di Trento e Bolzano sono le regioni più virtuose per i servizi offerti alle mamme e ai loro bambini (asili nido, mense scolastiche, tempo pieno), seguite da Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Toscana. La Sicilia si posiziona all’ultimo posto preceduta da Campania, Calabria e Puglia.

Soddisfatte e no

Le regioni dove l’area della soddisfazione soggettiva delle mamme raggiunge livelli più alti sono nuovamente le Province Autonome di Bolzano e Trento seguite da Umbria, Piemonte, Valle d’Aosta e Molise. Le regioni, invece, dove le mamme sono decisamente meno soddisfatte sono Calabria e Sicilia.

La protezione dalla violenza

Basilicata e Provincia Autonoma di Trento si posizionano agli ultimi posti nell’area violenza, precedute da Campania, Sicilia, Puglia e Lazio. Le regioni più virtuose per quanto riguarda la presenza di centri antiviolenza e case rifugio sono invece Friuli-Venezia Giulia e Provincia Autonoma di Bolzano con uno stacco di più di 30 punti sul valore di riferimento nazionale, seguite da Molise, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Abruzzo.

E alla casa continua a pensare (quasi) solo lei

Cinque ore e 5 minuti al giorno è il tempo dedicato dalle donne in Italia al lavoro non retribuito di cura domestica e della famiglia, contro un’ora e 48 minuti degli uomini. Il 74% di questo carico grava quindi su di loro, e anche quando contribuiscono al reddito e al lavoro tanto quanto gli uomini, dedicano alla cura 2,8 ore in più di loro, che salgono a 4,2 quando ci sono i figli.

Ma aumentano i congedi di paternità

Ma, come sottolinea il rapporto, tra le pieghe del ménage familiare si intravede un trend positivo. Lo dimostra il numero maggiore dei padri che usufruiscono del congedo di paternità introdotto nel 2012, che dal 2013 sono quadruplicati raggiungendo quota 155.845 nel 2021, contro i 50.500 del 2013.

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