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Stavolta assicurano che non finirà tutto in una bolla di sapone, com’era avvenuto dopo la partita del Quirinale. “O Luigi Di Maio se ne andrà di sua spontanea iniziativa oppure verrà cacciato dai 5 Stelle”, è la sintesi di un parlamentare di lungo corso oggi di area contiana. Il quasi epilogo di una querelle che va avanti ormai da mesi arriva dopo un’altra giornata di alta tensione, stavolta colpa di una bozza di risoluzione dei 5 Stelle per martedì prossimo, quando arriverà Mario Draghi al Senato.
In quel documento si leggeva, nero su bianco, la determinazione di uno stop all’invio di nuove armi in Ucraina. Tanto è bastato per portare il ministro degli Esteri, ospite del summit Blue Forum Italia Network a Gaeta, a dare l’allarme: “Questa bozza di fatto ci disallinea dall’alleanza Nato e dalla Ue. Così facendo mettiamo a repentaglio la sicurezza dell’Italia. Rispetto a un tema così importante, da ministro degli Esteri credo di dover difendere la collocazione geopolitica del nostro Paese”. E poi, di sponda, una sua fedelissima, la viceministra all’Economia Laura Castelli, anche lei al summit: “La situazione è molto importante e sul filo di lana. Io di sicuro non voterei una risoluzione, qualora presentata dal mio gruppo, che va fuori dalla collocazione storica dell’Italia”.
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E però il retroscena è che – perlomeno a sentire i vertici del M5S e la capogruppo al Senato Mariolina Castellone, che per il M5S prenderà la parola in Senato il 21 giugno – quella bozza è in realtà datata e senza alcuna corrispondenza con il lavoro degli ultimi giorni dello stesso di Movimento per arrivare a una risoluzione concordata con il resto della maggioranza e il governo. Ci sono state due riunioni nei giorni scorsi e un’altra ci sarà domani, con il lavoro da mediatore del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enzo Amendola, per chiudere sulla redazione di un testo condiviso. Dove non ci sarà scritto il no all’invio di armi. Il M5S chiede una de-escalation militare e un richiamo alla centralità del Parlamento. Il documento preliminare ha infatti una casella ancora da riempire: quella sull’Ucraina. Cinque punti su sei, invece, sono già stati concordati in linea di massima: ok all’adesione di Kiev all’Ue; ad una revisione radicale del Patto di stabilità europeo; ad interventi per famiglie e imprese in difficoltà; ad un tetto al prezzo del gas, di cui Draghi discuterà al vertice europeo; al rafforzamento delle proposte sul futuro dell’Unione.
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Comunque sia, nel quartier generale del M5S si è convinti che quella bozza sia stata messa in circolazione dal fronte “dimaiano” per inquinare le acque e tornare ad attaccare Giuseppe Conte. Vero o no, va comunque detto che effettivamente era quella la posizione del Movimento fino a qualche giorno fa e che nel frattempo si è ammorbidita. Ma al di là del fatto del giorno, pare si sia arrivati al punto del non ritorno. Nel senso che i toni della contesa hanno raggiunto un livello per cui tornare indietro appare impossibile. Il riferimento del ministro al pericolo per la “sicurezza nazionale” ha mandato su tutte le furie Conte e i suoi.
E così ecco le repliche che fanno presagire ulteriore tempesta. Vedi ad esempio le parole a Fanpage di uno dei cinque vice di Conte, Michele Gubitosa, che si domandava se Di Maio fosse ancora un ministro dei 5 Stelle. Finora non era mai stato messo in dubbio, adesso sì. Ci sarà quindi da capire come si arriverà alla parole “fine” e che effetti potrà avere sul governo. Dal punto di vista formale va detto che Conte non era riuscito ad espellere neanche Vito Petrocelli, l’ex presidente della commissione Esteri al Senato che aveva votato no alla fiducia al governo proprio sulla vicenda ucraina. L’estromissione di “Petrov” c’era stata sulla carta e l’impasse legale-burocratica dei 5 Stelle non aiutava certo il lavoro del Collegio dei probiviri.
Anche in questo caso la via più semplice sarebbe quella di una risoluzione politica del rapporto che lega Di Maio al Movimento. Non è detto però che l’ex capo politico abbia intenzione di facilitare il compito dei vertici del suo partito. Tra mercoledì e giovedì a Roma è atteso Beppe Grillo, il fondatore che voleva rompere con Conte e che invece fu fermato proprio da Di Maio (in tandem con Roberto Fico), vedi com’è strana la vita. Per ricomporre tutto anche adesso servirebbe un miracolo da vero “Elevato”.