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Mafia, lo studio della Bocconi: dalle stragi ai mercati, così è cambiata la strategia dei padrini

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Le organizzazioni criminali hanno in parte cambiato pelle negli ultimi trenta anni. Riducendo drasticamente il numero di omicidi e usando la violenza in maniera più strategica e meno visibile, hanno potuto infiltrare nuove aree del Paese e nuovi settori economici, senza abbandonare i traffici illegali che rimangono parte del loro “core business”.

La stagione delle stragi

Il periodo delle stragi di mafia come quella di Via D’Amelio in cui persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta (di cui il 19 luglio ricorre il trentesimo anniversario) rappresentò il culmine dello scontro tra la mafia siciliana e lo Stato italiano. Solo nel 1991, si contarono 1.916 omicidi, di cui 718 di stampo mafioso. In quel periodo, furono emanate nuove leggi, tra cui il carcere duro (41-bis), lo scioglimento dei Comuni per mafia e fu creata la Direzione nazionale antimafia. In Sicilia, si diffusero i primi movimenti anti-mafia legati alla società civile. Negli anni successivi si osservò un ridimensionamento della mafia siciliana, sebbene non si trattò di una sconfitta definitiva tant’è che oggi i principali gruppi criminali italiani, legati a Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta, sono tutt’altro che sconfitti.

Il calo degli omicidi

Eppure, i dati rilevano la radicale diminuzione nel numero di omicidi. Dai 718 omicidi mafiosi del ’91siamo passati a 28 nel 2019. Nel 2020, ci sono stati 271 omicidi in Italia, rispetto ai quasi 2.000 del ’91. Un crollo impressionante in soli trent’anni. Con 0,5 omicidi per 100mila abitanti, l’Italia è il Paese con meno omicidi in Europa dopo Islanda e Slovenia. In Italia, oggi, ci sono meno omicidi per capita che in Norvegia, Svizzera o Lussemburgo.

… e la riduzione dei servizi televisivi

Gli alti livelli di violenza degli anni Ottanta e Novanta hanno portato a una forte repressione da parte delle forze dell’ordine e una grande attenzione mediatica e politica. Analizzando l’archivio della Rai degli ultimi quarant’anni,  e studiando il contenuto dei telegiornali nazionali e regionali, si osserva un trend interessante. Negli anni con più omicidi mafiosi, aumenta la copertura mediatica legata alla mafia, misurata dalla percentuale di news sul tema mafia. Al contrario, quando calano gli omicidi mafiosi, si parla meno del tema. Non si tratta di un risultato che riguarda solo il giornalismo. Lo stesso trend crescente si registra anche negli interventi in Parlamento legati alla criminalità organizzata. Per esempio, nel biennio 1992-1994 si cita la criminalità organizzata nel 15% dei discorsi dei parlamentari, vent’anni dopo solo nel 4,3%.

Le minacce agli amministratori pubblici

Tutto ciò suggerisce che la diminuzione nel numero di omicidi è, almeno in parte, una scelta strategica. Questo non implica che non si usi più la violenza. Come riportato ogni anno dai report di “Avviso Pubblico” gli amministratori locali sono i target privilegiati delle mafie: minacce, lettere minatorie, incendi, aggressioni. Con una media di circa un attacco al giorno, questo fenomeno passa quasi inosservato sui media, raggiungendo l’obiettivo prefissato: influenzare la politica locale senza attirare troppa attenzione mediatica e politica. Il periodo elettorale è particolarmente delicato: a ricevere più attacchi sono soprattutto i nuovi sindaci, subito dopo l’elezione, nelle aree con maggiore presenza di organizzazioni criminali.

La crescita esponenziale dei sequestri

Questa nuova strategia di fatto ha facilitato l’espansione nel tessuto economico del Paese. A partire dagli anni ’90 si è assistito a una grande crescita nel numero di imprese e immobili sequestrati ai mafiosi. Nel 1991, lo Stato sequestrò alle mafie due imprese e quattro immobili. Nel 2019, i sequestri ammontano a 351 imprese e 651 immobili. Ogni operazione di polizia legata alla criminalità organizzata oggi porta a sequestri di circa 1 milione di euro. Alla fine degli anni ’90 il valore medio era di circa 50mila euro.

La conquista del Nord Italia

Da un lato, questi numeri testimoniano in maniera indiretta la crescita del potere economico dei gruppi mafiosi, e in particolare della ‘ndrangheta. Dall’altro, questi trend riflettono anche una maggiore capacità delle forze dell’ordine di combattere i gruppi mafiosi dove fa più male, nelle risorse economiche. Tuttavia, la lettura pessimistica è incoraggiata da altri dati: solo nel 2019, è stata sequestrata per la prima volta un’impresa legata alla mafia in 11 nuove province italiane (quasi tutte nelle regioni settentrionali): un altro segnale dell’espansione di questi gruppi in nuove aree del Paese.  

(gli autori lavorano nella Clean Unit on the Economic Analysis of Crime della Bocconi)

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