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Magistratura, concorso flop: due giudici ‘bocciano’ il collega che ha fatto strage di candidati. “Troppo severo”

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ROMA – Grazie all’ultimo concorso in magistratura, finito con una strage di candidati agli scritti (è passato solo il 5,7%), per una volta, le opposte correnti della magistratura si ritrovano d’accordo. E sono due donne a esserlo. Unite nel condannare l’eccessiva durezza nella correzione dei compiti, per cui sono passati agli orali solo 220 aspiranti su 3.797, in grado di coprire solo quella quota dei 310 posti messi a concorso. Nel mirino delle critiche finisce il commissario d’esame Luca Poniz, pm a Milano ed esponente della sinistra di Area, noto per la sua severità. E che ha rilasciato dichiarazioni sui candidati, a suo avviso, palesemente impreparati anche nella gestione della lingua italiana, fondamentale per scrivere ordinanze e sentenze.

Il flop del concorso in magistratura, agli esami scritti passa solo il 5,7 per cento

di
Liana Milella

21 Maggio 2022

E così, in questa intervista a due voci, la consigliera togata del Csm, nonché consigliera di Cassazione Loredana Micciché, di Magistratura indipendente, corrente conservatrice delle toghe, e Cinzia Barillà, la presidente di Magistratura democratica, il gruppo più progressista, magistrato di sorveglianza di Reggio Calabria, esprimono un assai simile giudizio critico.  

Luca Poniz sostiene che nei compiti c’erano “errori di diritto e di grammatica”, ma tra i candidati c’erano anche quelli che “non sanno andare a capo”, mentre lui lo ha imparato già in terza elementare. È una ragione sufficiente per promuovere solo così pochi candidati?
Risponde Micciché: “Ritengo improbabile, in base alla semplice legge dei numeri, che – come dichiarato da membri della commissione – oltre 3.500 giovani dichiarati non idonei all’ultimo concorso abbiano commesso errori ortografici o gravi errori di diritto. Certamente possono esserci stati molti casi di errori gravi, ma 3.500 sono davvero troppi. Troppo ingeneroso, di conseguenza, sarebbe il giudizio per la scuola e le università italiane e, in generale, per i nostri giovani che sono il futuro del Paese e che, mi risulta, all’estero ottengono parecchi successi”. 

Risponde Barillà: “Credo che sia un giudizio ingeneroso e poco attento ai sacrifici soprattutto personali ed economici che sono stati sostenuti da tanti candidati. Il nostro concorso già da tempo si sta sempre più modulando come una selezione di secondo livello, voglio dire che spesso ci si possono accostare solo i giovani che hanno partecipato al tirocinio negli uffici giudiziari o frequentato scuole di preparazione al concorso, talvolta già avvocati o dottori di ricerca o funzionari in altre pubbliche amministrazioni dello Stato, che sono così riusciti a mantenersi per anni allenati nello studio. Alcuni di loro si formano anche nei nostri uffici, quindi mi domando se oltre al diritto di essere selettivi, abbiamo anche il dovere di interrogarci in ordine a quello che siamo stati in grado di trasmettere loro”.

Quindi il vostro collega Poniz è stato troppo severo nei suoi giudizi? Ma perché dovrebbero passare l’esame scritto candidati che magari, in futuro, non sarebbero neppure in grado di scrivere in buona forma un provvedimento giudiziario?
Micciché: “Quelli che fanno errori di grammatica e sintassi non possono certamente essere promossi. Ma, come ho detto, non è possibile che li abbiano fatti oltre 3.500 candidati”.

Barillà: “Il correttore automatico nella divisione in sillabe può fare miracoli anche tra le nostre fila, mentre stava a noi, come magistrati, coltivare il dubbio e denunciare le criticità sul tappeto di questa tornata concorsuale, che prendevano le mosse anche dalla brevità del tempo di esame. Quattro ore per argomentare in diritto, in modo coerente in ordine a una traccia mediamente complessa, è un tempo del tutto insufficiente ed è, viceversa, una modalità che favorisce il nozionismo acritico. Da altro canto, anche la commissione esaminatrice non viene selezionata, né dal Csm né dal Consiglio nazionale forense, sulla base di criteri di merito, ma nel primo caso viene sorteggiata sui disponibili. Allora se merito chiama merito, sarebbe stato anche corretto dare conto di questo dato di partenza”.

Il Csm ha segnalato per tempo che mancano almeno mille magistrati per coprire gli organici. Un numero certo molto alto. Ma è una “buona medicina” sanarlo con candidati che non sanno scrivere?
Micciché
: “Selezionare solo una bassissima percentuale di idonei, lasciando scoperti 90 posti di magistrati in una situazione drammatica per gli uffici giudiziari, è frutto di una scelta ispirata a criteri tecnici improntati a un rigore che ritengo incomprensibilmente estremo, posto che la prova orale ben consente, nei casi dubbi, di fugare eventuali incertezze sulle capacità dei candidati. E  mi riferisco soprattutto a quei casi in cui uno dei compiti risulta svolto in modo brillante e valutato con un voto alto, il che dimostra come non si tratti di candidati incapaci di scrivere in italiano o totalmente inconsapevoli del diritto”. 

Barillà: “È una buona medicina investire in metodi selettivi che diano spazio anche alla creatività del candidato, alla duttilità del ragionamento e alla capacità di discernimento. Lei vorrebbe un magistrato che divide bene in sillabe, ma che mostra di non comprendere la portata giuridica e umana delle sue ragioni? Che non ha capacità di ascolto e di elaborazione di quanto le parti sostengono? Sulla prima lacuna ci si può lavorare senza creare danni, sull’assenza della seconda caratteristica i danni sono incalcolabili”.

Anche ai candidati che hanno dimostrato poca dimestichezza con la lingua italiana e la punteggiatura andava data una chance in più?
Micciché: “No di certo, in questi casi non potevano essere date chances. Ma, ripeto, è la legge dei numeri: è impossibile che li abbiano commessi in 3.500. Aggiungo che dopo l’entrata in vigore di leggi che sono una vera mannaia per i processi penali – e mi riferisco in particolare al regime delle improcedibilità – il Csm ha dovuto lasciare scoperti molti posti delle Corti d’Appello, dove i processi si bloccheranno: questo perché non avremo  abbastanza  magistrati da immettere nei posti di primo grado, che a loro volta non possiamo lasciare troppo scoperti, altrimenti i processi non si celebreranno. Insomma, bisognava dare ad almeno altri 90 di questi 3.500 ragazzi una chance in più. Non è molto, ma per la giustizia italiana sarebbe stato moltissimo”.

Barillà: “Ma se proprio noi ci sottraessimo dalla logica di una chances in più, nello scrutare oltre la forma e guardare alla sostanza dei ragionamenti espressi, i nostri verdetti sarebbero tutti monolitici e senza appello con buona pace della dialettica giudiziaria. La scuola può fare autocritica sulla lingua italiana, ma anche per noi non guasterebbe un ritorno sui banchi dell’umiltà”. 

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