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Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana (Alleanza verdi sinistra), la manovra è legge: qual è il suo giudizio intanto sul merito?
«L’impianto della finanziaria svela la natura sociale del governo: si erano presentati come la destra sociale a favore dei deboli e invece la loro è una manovra delle lobby, a partire da quella militare, o che trova i miliardi per il Ponte sullo Stretto ma non dà risposte ai milioni di persone che non possono curarsi, a chi lavora ma percepisce salari che non permettono una vita dignitosa. Serviva un investimento per rafforzare la sfera dei diritti e della protezione sociale, nella sanità sono arrivati solo tagli, idem per la scuola pubblica mentre continuano le regalie a quella privata. E poi, neanche un euro per rispondere alla precarietà, ad esempio sulla ricerca, settore fondamentale per l’innovazione e la competitività. Noi come opposizioni quella piccola somma che avevamo a disposizione l’abbiamo messa per la stabilizzazione dei ricercatori del Cnr, anche per dare il segnale che la lotta paga. Cito infine la misura sugli extraprofitti, Meloni l’aveva presentata come una svolta coraggiosa della destra. Alla fine hanno chiesto un prestito alle banche che dovranno restituire».
LA MANOVRA
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Non c’è una misura che salva?
«La legge di bilancio non è un insieme di singoli interventi da affrontare in maniera ragionieristica ma racconta un’idea di Paese, un ordine di priorità, invece da anni si affronta in modo inadeguato. Pensi al ritornello più frequente che ripetono: “non ci sono soldi”. Un vero imbroglio, i soldi ci sono ma bisogna avere il coraggio di andarli a prendere, e poi decidere come spenderli. Per noi coraggio significa più medici, infermieri, maestri, e non è un approccio demagogico ma realistico, che risponde al bisogno di ridurre le disuguaglianza e la povertà educativa e di cura».
Sul piano del metodo, invece, ci sono state le clamorose dimissioni poi ritrattate del relatore di Fdi Liris. Da parlamentare, come ha vissuto queste settimane?
«Ancora una volta il Parlamento non ha potuto discutere, è un processo che umilia sistematicamente le Camere e non è il primo governo che lo fa. Qui però c’è di un salto di qualità, siamo al monocameralismo. La legge di bilancio è la più importante legge dello Stato e il fatto che non si possa discutere dice già qualcosa sullo stato della democrazia».
Ma come si risolve questo vulnus?
«Intanto rispettando i tempi e smettendola di truccare le carte, cioè presentando la legge di bilancio a ottobre, quando è solo una scatola vuota per poi farla arrivare in aula a ridosso di Natale completamente stravolta. Questo governo sta abbattendo ogni record di ricorsi alla fiducia, sono scomparsi i disegni di legge di iniziativa parlamentare anche della maggioranza. Una modifica sostanziale dell’assetto istituzionale. Chissà cosa succederebbe se riuscissero a portare a casa il premierato».
Della norma anti-Renzi cosa pensa?
«Le norme ritagliate su qualcuno non hanno senso, ma c’è una questione di autonomia della politica dai poteri economici che va affrontata. Ad esempio proponiamo da tempo di vietare il finanziamento privato ai partiti da parte di chi ha interessi nella pubblica amministrazione, come appalti o concessioni. Nessuno ci risponde, ma insisteremo perché questo mercato del finanziamento in Italia e dall’estero piega la democrazia alle volontà di una minoranza, spesso composta dai più ricchi».
Il leghista Romeo nelle dichiarazioni di voti ha parlato più di quel che non andava nella manovra che il contrario, non sembra un centrodestra di pace e concordia. Vede possibili cambiamenti all’orizzonte?
«Dentro la maggioranza non vanno d’accordo su niente ma consiglierei alle opposizioni di non fare conto su regali in arrivo, quando si tratta di compattarsi per conservare o raggiungere il potere la destra ha prontezza e capacità».
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Quali sono le battaglie del 2025 che riusciranno a coalizzare il campo progressista?
«Bisogna porsi l’obiettivo di darsi una proposta e un programma facendolo vivere nel Paese. E la prima priorità è la crescita dei salari. Poi di proposte comuni ce ne sono molte: dal salario minimo con la legge di iniziativa popolare, la riduzione di orario di lavoro a parità di salario, la difesa e il rilancio della sanità pubblica. E poi per noi la questione della pace e della guerra. Non possiamo rassegnarci ad un mondo che affronta le crisi con la logica della forza e delle armi, da qui la nostra campagna con le cartoline che ho regalato a Meloni: uscire dalla guerra e dall’economia di guerra è anche questione di realismo politico perché impedisce politiche di protezione sociale e inclusione, la transizione ecologica, la guerra è la distruzione del futuro».