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Marcia Perugia-Assisi, il corteo verso la città di San Francesco: “Siamo cinquantamila”

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PERUGIA – Ai Giardini del Frontone, dove approdano i pullman di chi si è svegliato all’alba, si comprende che la Marcia della pace straordinaria sarà un successo. Straordinaria, come quella per il Kosovo, nel 1999. Sotto il viadotto di Ponte San Giovanni, prima periferia di Perugia, il rettilineo abitato di bandiere della Cgil, striscioni di Amnesty international, casacche dei City Angels, canzoni di Lucio Battisti – “la fiamma è spenta o accesa?” – consente la prima conta: tre chilometri di pacifisti in una Tiberina a due corsie fanno almeno cinquantamila persone. Ed è questa la cifra fatta rimbalzare dagli organizzatori alle due del pomeriggio nella Piazza inferiore della Basilica di San Francesco d’Assisi, per la prima volta meta della creatura pensata contro ogni guerra da Aldo Capitini, nel 1961. La questura di Perugia dimezzerà i numeri.

Due anni di lockdown pandemico, e soprattutto un’invasione che dilania le coscienze e ha fatto tanti morti in terra ucraina quante velenose polemiche da noi, hanno ridato un centro alla Marcia Perugia-Assisi, la sua ventiquattresima edizione. E’ un appuntamento con un rigore flessibile, si fa ogni due, tre anni, ma l’urgenza del conflitto che non si ferma neppure per ricordare Cristo in croce ha riportato quelli della Tavola della pace e tutto il corpo ecclesiale della città sacra e santa a richiamare qui, dopo la Pasqua e alla vigilia di un difficile 25 Aprile, i pacifisti di tutta Italia.

Lo striscione di apertura, portato da uno stuolo di adolescenti, ricordando così le vittime più vergognose tra Kiev e Mariupol, dice solo “Fermatevi”. Tutti. Ecumenico, non troppo impegnativo. Amnesty International – organizzazione che va sui luoghi peggiori del mondo e conosce le mine messe a terra nel Donbass e gli stupri consumati nelle case di Bucha – sfila ricordando che dovrà esserci una giustizia “per i crimini di guerra”. Rifondazione comunista allarga invece il suo manifesto “contro Putin e contro la Nato”. Bandiere a favore dell’alleanza nordatlantica, come annunciato e temuto dai frati di Assisi, non ce ne sono, ma neppure si sentono cori contro Stoltenberg in quella che resta una manifestazione catto-progressista senza alcun vessillo del Pd.

Le parole di Padre Enzo Fortunato, per ventott’ani portavoce di tutto questo – “Putin è l’aggressore, ma in nome della pace dobbiamo chiamarlo fratello” -, sono semina tra questa gente che chiede una nuova cultura nel mondo. Maurizio Landini, il segretario generale della Cgil, ne raccoglie l’umore e alla partenza dice: “Il percolato della guerra è già tra noi, con l’inflazione che cresce, le bollette che aumentano e una dissennata rinuncia, che ogni conflitto porta con sé, a un vivere sostenibile e ambientale. Dobbiamo uscirne al più presto”.

Ovviamente il modo, ancora, non c’è. Con Papa Francesco che non riesce a fermare le omelie filorusse del patriarca di Mosca, Kirill, però davanti a quarantamila fedeli in Piazza San Pietro saluta l’evento in Umbria: “Saluto e ringrazio i partecipanti alla marcia straordinaria per la pace e la fraternità e chi ha dato vita ad analoghe manifestazioni in altre città d’Italia”. Il mondo ancora non c’è, con il presidente zar, Vladimir Putin, che porta una mano al cuore durante la celebrazione della Pasqua ortodossa a Mosca e con l’altra autorizza il bombardamento di Odessa e dei suoi civili.

Il manifesto contestato della Marcia Perugia-Assisi (ansa)

Ci sono trenta delegazioni universitarie in marcia, guidate dall’Ateneo di Padova che dal 1982 tiene un corso sui diritti civili. Flavio Lotti, dietro una grande bandiera ucraina, spiega ancora una volta: “Marciamo per loro, per i deboli che non sono riusciti ad andarsene, per le vittime di tutte le guerre. Siamo colpevoli per non aver voluto vedere, abbiamo il dovere di fermare questo conflitto. Buona Marcia, alla faccia dei signori della guerra”.

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