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Meloni, diktat a Salvini e Berlusconi: “Intesa sul premier o niente alleanza”

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ROMA – “Se non dovessimo riuscire a metterci d’accordo sul nodo della premiership nel centrodestra non avrebbe senso andare al governo insieme”. L’ha detto Giorgia Meloni ieri sera al Tg5. L’uscita della leader di Fratelli d’Italia arriva all’indomani delle voci che vorrebbero il Ppe preferirle come premier Antonio Tajani. E dopo l’uscita dell’articolo del New York Times, che ricordava la presenza di nostalgici del fascismo dentro il suo partito. Sentita insidiata la sua aspirazione ad andare a palazzo Chigi, Meloni ha usato la tv di Silvio Berlusconi per mandare un messaggio agli alleati. “Confido che si vorranno confermare, anche per ragioni di tempo, regole che nel centrodestra hanno sempre funzionato, che noi abbiamo sempre rispettato e che non si capisce per quale ragioni dovrebbero cambiare oggi”. Matteo Salvini, il cui partito, la Lega, è dato nei sondaggi distaccato di dieci punti da FdI, pare ormai rassegnato a fare il ministro dell’Interno nel futuro governo delle destre. E si è così detto d’accordo: “Lasciamo a sinistra divisioni e litigi. Chi avrà un voto in più avrà l’onore e l’onere di indicare il premier”. Salvini il 4 e 5 agosto sarà a Lampedusa.

Domani i leader del centrodestra – Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi, Antonio Tajani, Maurizio Lupi, Lorenzo Cesa – si vedranno alla Camera. E questa della premiership è il tema, l’altro è la suddivisione dei collegi. Nei giorni scorsi era circolata l’ipotesi, apprezzata anche da Berlusconi, che a scegliere il premier siano gli eletti dei tre partiti. Non è d’accordo Giorgia Meloni. Anche perché nelle precedenti elezioni il centrodestra si recò al Quirinale per chiedere che venisse conferito l’incarico a Matteo Salvini: la Lega aveva preso più voti nella coalizione di centrodestra. La regola fu decisa in un vertice fiume a palazzo Grazioli, il 18 gennaio del 2018, dove Silvio Berlusconi si congedò da Giorgia Meloni e Matteo Salvini dopo aver firmato un programma comune in dieci punti per correre alle Politiche. Che campagna sarà?, hanno chiesto a Meloni. “Violentissima”, ha risposto. “Ma non ci facciamo intimidire. E penso anche che la sinistra abbia bisogno di inventare una macchina del fango contro di noi perché non può dire niente di concreto e di vero. Noi non abbiamo bisogno di inventare una macchina del fango contro di loro perché possiamo banalmente raccontare i disastri che hanno prodotto in Italia negli ultimi dieci anni al governo”.

Nel frattempo continua la fuga da Forza Italia. Dopo gli addii illustri dei ministri Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, quelli del senatore Stefano Cangini e di Roberto Caon, oggi tocca ad altre due deputate: Annalisa Baroni e l’atleta paralimpica Giusy Versace. Entrambe considerate vicine al ministro degli Affari regionali, hanno spiegato di non aver condiviso la scelta di non votare la fiducia all’esecutivo e di non poter accettare la deriva sovranista del partito. “Sono stati usati toni e termini che non mi rappresentano, lanciati immotivati e gratuiti attacchi personali, anche sull’aspetto fisico, che sono la negazione dei principi in cui credo e che ho creduto fossero il fondamento anche per Forza Italia”, ha spiegato Versace, a proposito delle considerazioni offensive nei confronti di Brunetta. Pare che l’emorragia non sia finita: anche Erika Mazzetti e Claudia Porchietto potrebbero andarsene. In Lombardia ha sbattuto la porta Alessandro Mattinzoli, assessore regionale alla Casa: “Condivido la scelta di Gelmini”.

Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha detto che il suo partito, Coraggio Italia, sarà nel centrodestra, “se ci vorranno”. Clemente Mastella vorrebbe correre nel centrosinistra, rigettando però “le elemosine”. Ricorda a Enrico Letta che in Campania è dato al 9 per cento. “Non vi alleate con noi? Avrete iella”, ha minacciato da Napoli.

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